Il mio teatro, le migliori pieces

1955William ShakespeareAmletoVittorio Gassman
1958Oscar WildeL'importanza di essere FrancoMario Ferrero
1961Eduardo De FilippoNapoli milionariaEduardo De Filippo
1962Peppino De FilippoQuaranta … ma non li dimostraRomolo Siena
1965Thomas Stearns EliotAssassinio nella cattedraleOrazio Costa Giovangigli
1965Giuseppe GiacosaCome le foglieEdmo Fenoglio
1965Sem BenelliLa cena delle beffeGuglielmo Morandi
1965Carlo GoldoniLa locandieraFranco Enriquez
1965Luigi PirandelloSei personaggi in cerca d'autoreGiorgio De Lullo
1966Georges FeydeauLa pulce nell'orecchioLuigi Squarzina
1966EuripideLe troianeVittorio Cottafavi
1967MoliereDon GiovanniVittorio Cottafavi
1968Henrik IbsenCasa di bambolaGian Domenico Giagni
1968Henry BecqueI corviSandro Bolchi
1968Friedrich SchillerMaria StuardaEdmo Fenoglio
1968John OsborneRicorda con rabbiaMario Missiroli
1969Anton CechovIl gabbianoOrazio Costa Giovangigli
1969Anton CechovIl giardino dei ciliegiMario Ferrero
1969Carlo GoldoniUna delle ultime sere di carnovaleLuigi Squarzina
1970Luigi PirandelloIl berretto a sonagliEdmo Fenoglio
1970Johan August StrindbergTemporaleClaudio Fino
1971Eugene O'NeillIl lutto si addice ad ElettraFulvio Tolusso
1975William CongreveCosì va il mondoSandro Sequi
1976Harold PinterIl guardianoEdmo Fenoglio
1977SofocleEdipo ReVittorio Gassman
1977Niccolò MachiavelliLa mandragolaRoberto Guicciardini
1978William ShakespeareIl mercante di VeneziaGianfranco De Bosio
1979George Bernard ShawCandidaSandro Sequi




Amleto


Personaggi e interpreti

Memo Benassi: Claudio
Anna Maria Ferrero: Ofelia
Vittorio Gassman: Amleto
Augusto Mastrantoni: Polonio
Luigi Vannucchi: Laerte
Elena Zareschi: Gertrude
Andrea Bosic: Fortebraccio
Giulio Bosetti: Orazio
Mario Morelli: Voltimando
Mario Maranzana: Rosencrantz
Carlo Alighiero: Guildestern
Lucio Rama: Primo attore

Regia: Vittorio Gassman

Trama

Nel XVI secolo, sulle torri che cingono Elsinora, capitale della Danimarca, due soldati s'interrogano sul fantasma che nelle ultime sere sta facendo la sua comparsa, aspettando il cambio di mezzanotte. Al cambio, insieme alla sentinella arriva anche Orazio, amico del principe, chiamato dalla guardia a vigilare sullo strano fenomeno.
Lo spettro compare per la prima volta poco dopo la mezzanotte e si fa subito notare da Orazio per la somiglianza con il defunto sovrano; rimane però muto, e poco dopo scompare. I due restano in attesa di altre apparizioni. Orazio spiega così a Marcello che il figlio di Fortebraccio sta riunendo un'armata ai confini della Norvegia, per riprendersi i territori che il padre ha perso in un duello con il defunto re. Prima dell'alba riappare il fantasma, ma quando è sul punto di parlare in seguito alle continue richieste di Orazio, canta il gallo e con questo suono scompare.
La scena si sposta ora nel consiglio reale da poco apertosi. Sono presenti il re Claudio, la regina Gertrude, Amleto, il ciambellano Polonio, suo figlio Laerte, i due ambasciatori Cornelio e Voltimando, e altri. Nella riunione viene per prima discussa la questione del figlio di Fortebraccio, e viene deciso di mandare i due ambasciatori dal re di Norvegia per convincerlo a indurre il nipote a più miti azioni. Poi Laerte chiede al re di poter partire alla volta della Francia e questi glielo permette.
Orazio, nel frattempo, raggiunge Amleto per metterlo al corrente delle apparizioni di uno spirito con le sembianze del padre e del proprio presentimento che questi voglia parlare solamente con lui. Decidono quindi d'incontrarsi sulle mura verso le undici. Giunti sulle mura lo spirito fa la sua apparizione e chiede subito di parlare con il solo Amleto. Questi, intuendo che si tratta dello spirito del padre, accetta senza esitazioni. Quando rimangono soli, lo spettro svela ad Amleto questa tremenda verità: la moglie e il fratello di suo padre si amavano fin da prima della sua morte, e quest'ultimo, desideroso del suo trono, un pomeriggio, vedendolo addormentato in giardino, gli versò nell'orecchio un veleno mortale a base di giusquiamo. Alla fine della tragica storia lo spettro chiede al giovane di vendicarlo, ed egli accoglie la richiesta senza indugiare.
Tornato tra i suoi amici (Orazio e la guardia Marcello), nonostante le richieste di questi di svelare loro il contenuto del colloquio, Amleto resta muto e li fa anche giurare, aiutato in questo compito dalla voce dello spettro, di non parlare con nessuno delle apparizioni. Dopo l'incontro Amleto diventa ancora più tetro, e i sovrani preoccupati mandano a chiamare Rosencrantz e Guildenstern (due amici dell'università) affinché indaghino sulla malinconia del principe. I due parlano a lungo con Amleto, mossi dal sentimento di amicizia, gli svelano anche il motivo della loro venuta; tentano comunque di rallegrare il principe sfruttando l'occasione dell'arrivo di una compagnia teatrale.
L'idea rende Amleto euforico, non per lo svago che gli si prospetta, bensì perché la rappresentazione teatrale gli offre la possibilità di mettere in pratica un piano ideato per verificare se le informazioni dello spettro del padre siano vere o se egli sia piuttosto una visione demoniaca che lo spinge all'assassinio dello zio. I due compagni vengono intanto richiamati dal re per sapere se hanno scoperto qualcosa sulla crisi di Amleto e su come si possa riportarlo ai vecchi svaghi. Presente anche Polonio, quando vede che i due non riescono a spiegare la causa dei problemi del principe, propone al re di verificare se la tristezza di Amleto derivi dal non vedere più Ofelia. Quindi, congedati Rosencrantz e Guildenstern e notando l'arrivo d'Amleto, Polonio, il re e la regina si nascondono lasciando sola Ofelia affinché si possa incontrare in modo “casuale” con Amleto. Amleto però giunge in quel momento in preda ai furori causatigli dalla rivelazione dello spettro, cosicché rifiuta ogni idea di vita coniugale e alla povera Ofelia, che gli ricorda le vecchie promesse d'amore, consiglia di farsi suora terminando il loro dialogo con la tetra frase "Non avverranno più matrimoni e degli sposati uno morirà". Lo zio, sentendo questa frase, sospetta che Amleto possa aver intuito qualcosa dei suoi crimini, e comincia quindi a prospettare l'idea di esiliarlo in Inghilterra con la scusa di qualche incarico amministrativo.
Amleto dopo ciò va dagli attori per raccomandare loro una buona interpretazione nello spettacolo della sera. Il suo piano infatti consiste nel verificare se le accuse dello spettro sono vere inscenando un dramma, "L'assassinio di Gonzago", simile a quello accaduto e osservando le reazioni del re: se il re si fosse mostrato turbato, ciò avrebbe significato che le accuse del fantasma erano fondate. L'idea riesce al meglio: infatti, durante la scena dell'avvelenamento, il re esce incollerito dal teatro. Dopodiché la madre, per placare la collera del re, chiama Amleto in camera sua per indurlo a spiegarsi con lo zio sui motivi della rappresentazione di quel dramma.
La regina stabilisce insieme a Polonio che, mentre lei parlerà con il figlio Amleto, questi (Polonio) si nasconda nella sua camera, cosicché possa riferire al re le parole di Amleto. Amleto, mentre sfoga la sua collera con la madre, scambia Polonio per il re e lo uccide al grido di "un topo, un topo", e alla fine porta senza alcun rimorso il corpo con sé per seppellirlo velocemente.
Saputo di quest'atto, il re conviene che si deve affrettare la sua partenza per la Gran Bretagna e manda Rosencrantz e Guildenstern a sollecitarlo per partire subito con la scusa del vento favorevole. Ofelia intanto giunge al palazzo in uno stato di completa pazzia perché, essendo venuta a sapere da alcune voci che il padre Polonio è stato ucciso, è stata sopraffatta dal nuovo dolore, aggiuntosi alla delusione amorosa inflittale da Amleto.
Amleto intanto, in cammino verso il porto per imbarcarsi in direzione dell'Inghilterra, incontra le armate di Fortebraccio che passano sul territorio danese per attaccare la Polonia. Informatosi presso i soldati dell'importanza del territorio, viene a sapere che è un terreno brullo e strategicamente inutile, ma che loro lo conquisteranno anche se ben difeso dai polacchi solamente per l'onore che deriva da una conquista. Ciò induce Amleto a riflettere sulla propria meschinità che gli fa lasciare invendicato l'assassinio del padre nonostante la sua richiesta di vendetta.
Laerte intanto, cui sono giunte delle false voci secondo le quali suo padre è stato ucciso dal re, messosi alla guida di un'accozzaglia di criminali e avventurieri giunge in Danimarca, sbaraglia l'esercito danese e si presenta davanti al re chiedendogli conto sia della morte di Polonio sia dei mancati onori funebri. Il re dopo un lungo colloquio, durante il quale compare anche Ofelia, riesce a illustrare al furente Laerte tutta la verità, omettendo naturalmente il motivo della furia del principe.
Intanto arriva a Orazio una lettera di Amleto in cui gli dice che di tutto l'equipaggio della nave lui solo è stato catturato dai pirati, e gli ordina di portare la lettera allegata a quella che sta leggendo al sovrano. Orazio manda subito un corriere al re che giunge verso la fine della sua discussione con Laerte. La missiva annuncia al sovrano l'imminente ritorno di Amleto in Danimarca.
Il re propone allora a Laerte, come mezzo di vendetta, di sfidare Amleto a duello, ma di smussare la spada dell'avversario, di intingere in un mortale veleno la propria e di avvelenare la coppa del vincitore con una perla di sostanza altrettanto letale nel caso vinca Amleto. Laerte acconsente.
Nel frattempo Ofelia, ormai pazza, si è uccisa gettandosi in un lago e due becchini le stanno scavando la fossa. Amleto, trovandosi a passare di lì con Orazio, s'interroga su quale nobildonna (perché solo una nobildonna potrebbe avere una sepoltura cristiana anche uccidendosi) debba esser seppellita lì. Quando vede il corteo funebre capisce tutto e non può fare a meno di accorrere sulla bara di Ofelia. Laerte, pieno di collera contro di lui, lo riempie d'insulti e lo sfida a duello. Il giorno seguente Amleto viene chiamato nella sala del re per la sfida che sarà all'ultimo sangue. Amleto però prima del duello si riconcilia con Laerte per mezzo di sincere scuse e dimostrazioni di stima.
Comincia il duello e, mentre questo si svolge, la regina chiede da bere, bevendo dalla coppa di vino avvelenata. I duellanti intanto si scambiano più volte i fioretti cosicché ognuno si ferisce con quello avvelenato. La prima a soccombere è la regina. Allora Laerte, pentito di aver escogitato un così ignobile piano, rivela tutto ad Amleto e poi muore per il veleno sulla punta del fioretto. La furia del principe si abbatte allora sul re che è trafitto da Amleto con la spada avvelenata e muore.
Amleto è in fin di vita quando Orazio gli annuncia che Fortebraccio è appena tornato vittorioso dalla Polonia. Amleto allora lo propone come nuovo re e muore. Fortebraccio, giunto quindi al castello, sale sul trono in quanto detentore dei maggiori diritti a reclamarlo, e dispone grandi funerali per il defunto principe.





Assassinio nella cattedrale


Regia: Orazio Costa Giovangigli

Personaggi e interpreti:

Tommaso Becket: Antonio Crast
L'araldo: Renato Mori
Le donne di Canterburgo: Sara Ridolfi
Le donne di Canterburgo: Elsa Polverosi
Le donne di Canterburgo: Adevilda Ciurlo
Le donne di Canterburgo: Anna Laura Messeri
Le donne di Canterburgo: Eleonora Morana
Le donne di Canterburgo: Evelina Gori
Le donne di Canterburgo: Emanuela Fallini
Le donne di Canterburgo: Francesca Fabbi
Le donne di Canterburgo: Giuliana D'Olivo
Le donne di Canterburgo: Vera Bertinetti
Le donne di Canterburgo: Maira Torcia
Le donne di Canterburgo: Nicoletta Languasco
I Tentatori: Mariano Rigillo
I Tentatori: Silvio Anselmo
I Tentatori: Roberto Herlitzka
I Tentatori: Vito Cipolla
I Tentatori: Enzo Consoli
I Cavalieri: Ugo Pagliai
I Cavalieri: Paolo Todisco
I Cavalieri: Pino Manzari
I Cavalieri: Giorgio Pressburger
I Sacerdoti: Antonio Menna
I Sacerdoti: Armando Bellofiore
I Sacerdoti: Enrico Salvatore
I Sacerdoti: Ettore Toscano
I Sacerdoti: Bruno Alecci
I Sacerdoti: Rosalino Bua
I Sacerdoti: Mario Lombardini

Trama

La vicenda ruota attorno al martirio dell'arcivescovo Thomas Becket, avvenuto nella cattedrale di Canterbury nel 1170. Thomas Becket, nato a Londra da un ricco mercante, era stato Cancelliere del Re d'Inghilterra, Enrico II, nonché suo consigliere e confidente. Ne fu addirittura ottimo amico. Re e Cancelliere sembravano essere in perfetto accordo, e quando morì, nel 1161, l'Arcivescovo di Canterbury, il sovrano pensò di eleggere al suo posto quel suo collaboratore energico e fidato. Così, il brillante Cancelliere fu ordinato sacerdote e consacrato Arcivescovo, capo spirituale di tutto il popolo cristiano d'Inghilterra. Ma Thomas deluse le aspettative del sovrano. Diventato Arcivescovo, antepose gli interessi spirituali dei fedeli agli interessi del Re. Il Re che era stato suo amico divenne suo nemico, tentò di imprigionarlo, e dovette rifugiarsi in Francia. Tornato in patria dopo sette anni di esilio Thomas Becket decise di sanare il dissidio che divideva la chiesa e lo stato, ma fu avversato dal partito ecclesiastico rappresentato dai suoi preti, e da quello reale rappresentato dagli ufficiali di Enrico II. Il conflitto interiore dell'arcivescovo è espresso dalle figure dei quattro Tentatori, che raffigurano l'amore dei piaceri, il desiderio del potere, le ragioni dei baroni feudali, l'orgoglio della santità. Becket li respinge tutti, e la mattina di Natale predica al popolo nella cattedrale di Cantherbury. Quattro giorni dopo, i cavalieri del re....
http://www.teatroteatro.it/recensioni...
http://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_...





Candida


Personaggi e Interpreti:
Candida: Anna Maria Guarnieri
Morell: Sergio Fantoni
Proserpina: Flavia Borelli
Alessandro: Mauro Avogadro
Burgess: Cesare Gelli
Eugenio: Alfredo Pea

Trama:
Candida è una donna giovane e bella, moglie del reverendo James Morell, un pastore anglicano progressista (si professa socialista), oratore eloquente e apprezzato. Candida torna a casa, dopo un periodo di vacanza trascorso con i bambini lontana dal marito, accompagnata dal giovane Eugene Marchbanks, un timido poeta diciottenne, di ricca famiglia. Eugene è innamorato di Candida e confessa la sua passione al marito di lei.
Invitata a scegliere fra i due uomini, Candida chiede a ciascuno dei due che cosa possono offrirle. Il reverendo Morell dichiara che può offrirle la sua protezione, la sua onestà, il suo lavoro, la sua posizione sociale; il giovane Eugene dichiara che può offrirle solo il bisogno del suo cuore. Candida sa che l'amore non è un sogno sentimentale, ma abitudine di vita in comune, indulgenza materna e perfino compassione; afferma pertanto che si abbandonerà al più debole dei due, e sorprendentemente sceglie il marito. Candida spiega che il marito non avrebbe la forza di sopportare la solitudine; il giovane Eugene, al contrario, ha imparato a vivere senza felicità. I due uomini riconoscono l'esattezza del giudizio di Candida e il giovane poeta se ne va via per sempre.
Accanto ai tre personaggi principali, nella commedia sono presenti due comprimari: Mr Burgess, il padre di Candida, un uomo volgare, e Miss Proserpine, la dattilografa di Morell, profondamente devota al reverendo.





Casa di bambola


Personaggi e Interpreti:

Nora: Giulia Lazzarini
Torvald: Renato De Carmine
Rank: Silvano Tranquilli
Kristine: Anna Miserocchi
Krogstad: Alessandro Sperlì
Anna Maria: Elsa Vazzoler
Bob: Maurizio Bravaccino
Elena: Maria Capocci
Emmy: Rossana Serra
Ivar: Fulvio Gelato
Regia: Gian Domenico Giagni

Trama:
Sin dalle prime battute del dramma, l'impressione che si ha della protagonista femminile è quella di una donna che si comporta come una bambina capricciosa che gioca e si diverte tutto il giorno e si arrabbia per futili motivi come quando il marito Torvald le proibisce di mangiare dolci. Torvald la chiama incessantemente "allodola".
Nora è ricattata da Krogstad a causa di un prestito illecito che lei aveva contratto, falsificando la firma del padre, per salvare la vita di suo marito. Quando suo marito Torvald scopre il fatto, viene assalito dall'ansia e dal tormento di perdere la propria reputazione. Quest'angoscia annebbia ogni altro pensiero e, in preda alla disperazione, dichiara a Nora che allontanerà quella che ora egli considera un'indegna moglie dalla cura dei suoi figli, senza riconoscere che il gesto, anche se compromettente, era stato dettato dall'amore per lui.
Grazie all'intervento di un'amica di Nora, che dichiara a Krogstad di volersi sposare con lui, il ricatto che minacciava la famiglia della protagonista viene annullato. Torvald, appena appresa la felice notizia, prorompe esclamando "sono salvo!", e perdona all'istante sua moglie.
Per Nora, però, la vita non può ritornare ad essere quella di prima: è troppo tardi. Tutte le sue illusioni sono state tradite e le sue certezze infrante. Nora finalmente capisce che suo marito non era in realtà quella nobile creatura che lei credeva che fosse e che il suo ruolo in quel matrimonio, durato 8 anni, è stato quello di una semplice e bella marionetta costretta a vivere in una casa di bambola, come aveva d'altronde sempre fatto fin dalla nascita.
Il mutamento e la presa di coscienza avvengono improvvisamente e Nora decide, quindi, di abbandonare suo marito in cerca della sua vera identità; come dice lei stessa a Torvald, deve «...riflettere col mio cervello e rendermi chiaramente conto di tutte le cose».
L'autore descrive nei suoi appunti la sua decisione dicendo: «Depressa e confusa dalla sua fede nell'autorità, perde la sua fede nella sua correttezza morale e nella sua capacità di crescere i suoi figli. Una madre in una società contemporanea che proprio come certi insetti che fuggono e muoiono quando compiono i loro doveri nella propagazione della loro razza.»
La commedia del 1968 andò in onda
sul primo canale RAI





Una delle ultime sere di carnovale


Personaggi e interpreti
Sior Zamaria testor, cioè fabbricatore di stoffe: Camillo Milli
Siora Domenica, figlia di Zamaria: Lucilla Morlacchi
Sior Anzoletto, disegnatore di stoffe: Giancarlo Zanetti
Sior Bastian, mercante di seta: Eros Pagni
Siora Marta, moglie di Bastian: Esmeralda Ruspoli
Sior Lazaro, fabbricatore di stoffe: Toni Barpi
Sior'Alba, moglie di Lazaro: Elsa Vazzoler
Sior Agustin, fabbricatore di stoffe: Gianni Fenzi
Siora Elenetta, moglie di Agustin: Grazia Maria Spina
Siora Polonia, che fila oro: Wanda Benedetti
Sior Momolo, manganaro: Omero Antonutti
Madama Gatteau, vecchia francese ricamatrice: Lina Volonghi
Cosmo, garzone lavorante di Zamaria: Renzo Martini
Baldissera, garzone lavorante di Zamaria: Sebastiano Tringali
Martin, garzone lavorante di Zamaria: Luciano Razzini

Trama:

Venezia. Nella casa-laboratorio del commerciante di stoffe Zamaria, la cui giovane figlia Domenica è innamorata del disegnatore di stoffe Anzoleto, si festeggia la fine del Carnevale: si chiacchiera, si gioca al gioco di carte meneghella[6], si balla, si cena. Ma quando Anzoletto comunica che partirà per la Moscovia (Se vol provar, se una man italiana, dessegnando sul fatto, sul gusto dei moscoviti, possa formar un misto, capace de piàser ale do nazion[7]) con madame Gatteau, anziana ricamatrice francese innamoratasi di lui, si scatena la gelosia di Domenica e monta una maretta che si placherà solamente con le nozze dei due giovani e di Zamaria con madame Gatteau.





Temporale


Personaggi e interpreti
Il signore: Ivo Garrani
Il console suo fratello: Antonio Pierfederici
Gerda: Franca Nuti
Luisa: Daniela Nobili
Il pasticciere Starck: Carlo Bagno
Agnese: Antonella Scattorin
L'uomo che porta il ghiaccio: Renato Tovagliari
Il postino: Angelo Roccati
Il fattorino: Gianni Tonolli

Trama:
Siamo in estate. Il Signore, ormai vecchio, vive solo con la giovane dama di compagnia Louise e intervalla le sue lente giornate giocando di tanto in tanto a scacchi col Fratello. Al piano di sotto vive la famiglia del Pasticcere, con la giovane figlia Agnese e la moglie, che vorrebbe diventare cieca e sorda per non vedere e non sentire ciò che accade intorno. All'ultimo piano la misteriosa famiglia Fischer, di cui nessuno sa nulla fino al momento in cui il Fratello incontra e riconosce Gerda, la moglie del Signore, che lo abbandonò tempo prima portandosi dietro la figlioletta di quattro anni. È da allora che il Signore vive nei ricordi, fingendo un'indifferenza che in realtà lo ha lacerato per tutti quegli anni. E dopo l'incontro con Gerda tutto si snoda, finalmente il Temporale ha inizio: la verità torna a galla, il passato ritorna violentemente e diviene presente....





Sei personaggi in cerca d'autore


Personaggi e interpreti

Regia: Giorgio De Lullo

Il padre: Romolo Valli
La madre: Elsa Albani
La figliastra: Rossella Falk
Il figlio: Piero Sammataro
Il giovinetto(non parla): Claudio Frigna
La bambina(non parla): Patrizia Ponzelli
Madama Pace: Gabriella Gabrielli
Il direttore-capocomico: Ferruccio De Ceresa
La prima attrice: Nora Ricci
Il primo attore: Carlo Giuffré
La seconda donna: Italia Marchesini
L'attrice giovane: Isabella Guidotti
L'attor giovane: Italo Dall'Orto
Altri attori e attrici:
Sebastiano Calabrò
Salvatore Puntillo
Anna Saia
Lino Segurini
Il direttore di scena: Luigi Durissi
Il suggeritore: Luigi Battaglia
Il macchinista: Domenico De Angelis
Il segretario del capocomico: Aldo Gasparrini

Trama:
Su un palcoscenico una compagnia di attori prova la commedia Il giuoco delle parti. Irrompono sei individui, un Padre, una Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, personaggi rifiutati dallo scrittore che li ha concepiti. Essi chiedono al Capocomico di dare loro vita artistica e di mettere in scena il loro dramma...





Ricorda con rabbia


Personaggi e Interpreti:

Alison Porter: Anna Maria Guarnieri
Jimmy Porter: Giulio Brogi
Cliff Lewis: Antonello Pischedda
Helena Charles: Ilaria Occhini
Col. Redfern: Fosco Giachetti
Regia: Mario Missiroli

Trama:
Triangolo amoroso tra un giovane uomo intelligente ma mal disposto, Jimmy Porter, la sua impassibile moglie borghese, Alison, e la sua altezzosa migliore amica Helena Charles. Cliff, un amichevole pensionante gallese, tenta di mantenere la pace....





Maria Stuarda


Personaggi e interpreti
George Talbot: D'Angelo, Carlo <1919-1973>
Mortimer: De Francovich, Massimo
Elisabetta: Brignone, Lilla <1913-1984>
Conte di Kent: Reali, Carlo
Melvil: Annicelli, Corrado <1905-1984>
Conte di Aubespine: Pagliai, Ugo
William Cecil: Gora, Claudio
Maria Stuarda: Proclemer, Anna
Robert Dudley: Albertazzi, Giorgio
Gugliemo Davison: Castellani, Franco
Amias Paulet: Galavotti, Gianni
Okelly: Disperati, Giuliano
Burgoyn: Smith, Bruno
Anna Kennedy: Soligo, Edda
Margareth Kurl: Lucchieri Ferri, Wally
Ufficiale della guardia: Marchesini, Emilio
Paggio di Elisabetta: Dominici, Cesare

Trama:

Maria Stuarda è prigioniera in Inghilterra - ufficialmente per l'omicidio di suo marito Darnley, ma in realtà a causa delle sue pretese sul trono di Inghilterra, appartenente alla regina Elisabetta I. Mentre la cugina di Maria, Elisabetta, esita a firmarne la condanna a morte, questa spera nella grazia.
Dopo che Maria scopre che Mortimer (personaggio creato da Schiller), nipote del suo custode, è dalla sua parte, gli affida la propria vita. Mortimer dovrebbe consegnare a Robert Dudley, conte di Leicester una lettera da Maria, in cui lei gli chiede aiuto. Si tratta di una situazione delicata, perché Leicester sembra sostenere la Regina Elisabetta. Dopo numerose richieste, Maria alla fine ottiene l'opportunità di incontrare la Regina Elisabetta (cosa che, in realtà, non è mai accaduta). Quest'incontro finisce in un litigio, causato dalla riluttanza di Maria di sottomettersi interamente alla volontà di Elisabetta. Il litigio porta al sospetto che la grazia non sarà concessa. A complicare ulteriormente la questione, Mortimer progetta di liberare Maria con la forza, versione drammatizzata dell'infruttuoso Babington Plot, ma quando il suo tentativo viene scoperto, egli si suicida.
La Regina Elisabetta finalmente si persuade a firmare la condanna a morte di Maria. Elisabetta sottolinea che la sua unica ragione per firmare è la pressione del suo popolo affinché lei la firmi. La condanna firmata è consegnata a Davison, il sottosegretario della Regina Elisabetta, senza nessuna istruzione precisa su cosa farne. Con questa azione, Elisabetta trasferisce la responsabilità su di lui, pienamente consapevole che lui a sua volta consegnerà la condanna a Lord Burleigh, e perciò confermando la sentenza di morte per Maria. Burleigh chiede il documento firmato a Davison, che - malgrado l'incertezza - infine glielo consegna. Di conseguenza, Burleigh fa decapitare Maria.
La tragedia termina con Elisabetta che incolpa sia Burleigh che Davison per la morte di Maria (bandendo il primo dalla corte e imprigionando il secondo nella Torre di Londra), Lord Shrewsbury (che ha implorato la grazia per Maria durante l'opera) che rinuncia ai propri privilegi e Leicester che lascia l'Inghilterra per la Francia. Elisabetta è lasciata completamente sola mentre cala il sipario.





L'importanza di essere Franco


Regia: Mario Ferrero
Personaggi e Interpreti:
Worthing: Franco Volpi
Monerieff: Tino Carraro
Cecilia Cardew: Fulvia Mammi
Guendalina Fairfax: Lia Zoppelli
Lady Bracknell: Mercedes Brignone
Lane: Vittorio Congia
Merriman: Carlo Cataneo
Miss Prism: Isabella Riva
Rev. Chasuble: Sergio Tofano

Trama:
Franco = Ernest
Nell'Inghilterra dell'età vittoriana, Algernon Moncrieff ed Ernest Worthing sono due amici di vecchia data. Il primo abita in città ed il secondo in campagna, ed entrambi vivono una "vita segreta": Algernon finge di avere un vecchio amico malato di nome Bunbury in campagna, mentre Ernest, il cui vero nome invece è Jack, finge di avere un fratello scapestrato di nome Ernest, nome con cui appunto si presenta in città. Questo espediente permette loro di assentarsi dalle rispettive case e famiglie quando meglio credono.
Jack ama Gwendolen Fairfax, cugina di Algernon, e vorrebbe sposarla. La donna ricambia il sentimento, ma desidera fermamente ed esclusivamente sposare un uomo di nome Ernest. Lady Bracknell, ricca madre di Gwendolen e zia di Algernon, rifiuta però il fidanzamento quando scopre che Jack è orfano, ritrovato nella borsa di un deposito bagagli ferroviario. Nel frattempo Algernon si presenta alla casa di campagna di Jack spacciandosi per lo scapestrato Ernest, e si innamora di Cecily Cardew, diciottenne di cui Jack è il tutore. Anche Cecily è convinta che amerà un uomo di nome Ernest.
Quando Gwendolen raggiunge la casa di campagna del "suo" Ernest, conosce Cecily e dopo un iniziale equivoco su Ernest, le due scoprono che né Algernon né Jack si chiamano in realtà così. Anche Lady Bracknell giunge alla dimora di campagna di Jack, e intima a Gwendolen di fare ritorno a casa. Algernon le comunica l'intenzione di sposare Cecily, e quando la zia apprende l'entità della rendita della giovane, accetta le nozze. È però Jack a rifiutare il permesso, almeno fino a quando la donna non gli concederà la mano di Gwendolen.
Casualmente però Lady Bracknell riconosce in Miss Prism, ora istitutrice di Cecily, la bambinaia dei figli della propria sorella (la madre di Algernon), rivelando che anni addietro era scomparsa con il nipotino appena nato. Miss Prism ammette una leggerezza costata la scomparsa del piccolo, perduto in una stazione ferroviaria: questo svela che quel piccolo era proprio Jack, fratello minore di Algernon, e così Lady Bracknell autorizza finalmente le nozze.
Se Jack può sposare Gwendolen, Algernon potrà impalmare Cecily: l'unico dubbio che rimane è quello del vero nome di battesimo dell'ex trovatello. Lady Bracknell dice che fu battezzato come il padre ma non ricorda il nome del cognato (che tutti in famiglia chiamavano Il Generale), e lo stesso vale per Algernon che si giustifica con un "l'ho conosciuto appena, è morto quando avevo tre anni"; si è dunque obbligati a ricorrere agli elenchi militari degli ufficiali. Worthing trova la pagina che riporta il nome del padre e annuncia a tutti i presenti che lui ha sempre saputo di chiamarsi Ernest. Con grande gioia generale, specie di Gwendolen. Ma nel libro, che lui chiude subito, vediamo invece il nome di John.





Le troiane


Personaggi e interpreti
Poseidone: Lupi, Roldano
Andromaca: Miserocchi, Anna
Atena: Ruspoli, Esmeralda
Menelao: Salerno, Enrico Maria
Elena: Tavanti, Laura
Ecuba: Ferrati, Sarah
Cassandra: Guarnieri, Anna Maria
Corifea: Angeleri, Lia
Taltibio: Orlando, Orazio

Trama:
La città di Troia, dopo una lunga guerra, è infine caduta. Gli uomini troiani sono stati uccisi, mentre le donne devono essere assegnate come schiave ai vincitori. Cassandra viene data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo ed Ecuba ad Odisseo. Cassandra predice le disgrazie che attenderanno lei stessa e il suo nuovo padrone una volta tornati in Grecia,[2] ed il lungo viaggio che Odisseo dovrà subire prima di rivedere Itaca.[3] Andromaca subisce una sorte terribile, poiché i Greci decidono di far precipitare dalle mura di Troia Astianatte, il figlio che la donna aveva avuto da Ettore, per evitare che un giorno il bambino possa vendicare il padre e porre fine alla stirpe achea. Successivamente Ecuba ed Elena si sfidano in una sorta di agone giudiziario, per stabilire le responsabilità dello scoppio della guerra. Elena si difende ricordando il giudizio di Paride e l'intervento di Afrodite, ma Ecuba svela infine la colpevole responsabilità della donna, fuggita con Paride perché attratta dal lusso e dall'adulterio. Alla fine, il corpicino di Astianatte viene riconsegnato ad Ecuba per il rito funebre, Troia viene data alle fiamme, e le prigioniere vengono portate via mentre salutano per l'ultima volta la loro città.





La pulce nell'orecchio


Regia: Luigi Squarzina

Personaggi e interpreti:
V. Emanuele Chandebise Poche: Alberto Lionello
Raimonda Chandebise: Olga Villi
Camillo Chandebise: Giancarlo Zanetti
Luciana de Histangua: Silvia Monelli
Carlos Homenides de Histangua: Eros Pagni
Dottor Finache: Camillo Milli
Agostino Ferraillon: Checco Rissone Antonietta: Paola Papino
Battistino: Luigi Carubbi
Etienne: Omero Antonutti
Eugenia: Simona Caucia
Olimpia Ferraillon: M. P. Arcangeli
Rugby: Maggiorino Porta
Romano Tournel: Ruggero De Daninos

Trama:
Raymonde, crede che suo marito Chandebise, direttore di una compagnia assicurativa, la tradisca poiché ha ricevuto da un albergo malfamato le bretelle dei calzoni del marito e perché non lo vede più appassionato e focoso come prima. La signora prega una carissima amica (Lucienne), moglie di un ricco sudamericano gelosissimo, di scrivere un'appassionata lettera galante al suo freddo marito, in modo che Chandebise non possa riconoscere la calligrafia della moglie, e di dargli appuntamento nell'albergo malfamato di cui sopra: in questo modo Chandebise non potrà accorgersi che si tratta di un tranello e la moglie potrà verificare la sua fedeltà.
Il marito, ricevuta la missiva, crede che vi sia uno sbaglio e quindi consegna la lettera a un amico ritenendolo il vero destinatario. Per una serie di circostanze, la lettera galante finisce nelle mani del sudamericano gelosissimo che, riconoscendo la calligrafia della moglie...





La mandragola


Personaggi e Interpreti:
Prologo: Virginio Gazzolo;
Callimaco: Giuseppe Pambieri
Siro: Valentino Macchi
Ligurio: Franco Branciaroli
Messer Nicia: Alfredo Bianchini
Lucrezia: Rosita Toros
Sostrata: Elsa Merlini
Frate Timoteo: Duilio Del Prete
una donna: Mariella Furgiuele

Trama:
La storia si svolge a Firenze nel 1504. Callimaco è innamorato di Lucrezia, moglie dello sciocco dottore in legge messer Nicia. Con l'aiuto del servo Siro e dell'astuto amico Ligurio, Callimaco, in veste di famoso medico, riesce a convincere messer Nicia che l'unico modo per avere figli sia di somministrare a sua moglie una pozione di mandragola (da qui il titolo della commedia), ma il primo che avrà rapporti con lei morirà. Ligurio trova presto una geniale soluzione: a morire sarà un semplice garzone, cosa che tranquillizza parzialmente Nicia, il quale resta comunque perplesso, visto che qualcuno dovrà giacere con sua moglie. Naturalmente Ligurio ha pensato all'amico Callimaco, che spasima per Lucrezia: infatti non vi sarà nessun garzone come vittima predestinata, bensì sarà lo stesso Callimaco a travestirsi da tale. In una famosa e molto divertente scena, il garzone-Callimaco viene colpito e portato a casa di Nicia, e poi infilato nel letto insieme a Lucrezia. Questa, che nel frattempo è stata convinta a consumare il rapporto adulterino da fra' Timoteo, accetta, e nel momento in cui scopre la vera identità di Callimaco, acconsente alla fine a diventare sua amante. Dopo la notte degli inganni, riassunte le sembianze del medico, Callimaco ottiene dall'inconsapevole Nicia, contento della futura paternità, il permesso di abitare in casa sua e quindi di godere, non visto, delle grazie di Lucrezia.





La locandiera


Regia: Franco Enriquez 1966

Personaggi e interpreti:
Mirandolina: Valeria Moriconi
Fabrizio: Luciano Melani
Il conte d'Alba Fiorita: Giuseppe Porelli
Il marchese di Forlipopoli: Glauco Mauri
Il cavaliere di Ripafratta: Paolo Graziosi
Dejanira: Silvana De Santis
Ortensia: Adriana Innocenti
Servitore del cavaliere: Alessandro Esposito
Servitore del conte: Alfredo Piano

Trama:
Primo atto
Mirandolina gestisce la locanda dove viene costantemente corteggiata da ogni cliente, in modo particolare dal Marchese di Forlipopoli, aristocratico decaduto che ha venduto il prestigioso titolo nobiliare, e dal Conte di Albafiorita, mercante che, arricchitosi, è entrato a far parte della nuova nobiltà comprando il titolo.
I due personaggi rappresentano gli estremi dell'alta società veneziana del tempo. Il Marchese, avvalendosi esclusivamente del suo onore, è convinto che basti la sua protezione per conquistare il cuore della donna. Al contrario, il Conte crede di poter procurarsi l'amore di Mirandolina così come ha acquisito il titolo (le fa infatti molti e costosi regali). Questo ribadisce le differenze tra la nobiltà di spada e la nobiltà di toga, cioè quella dei discendenti dei nobili medievali e quella di coloro che hanno comprato il titolo nobiliare.
L'astuta locandiera, da buona mercante, non si concede a nessuno dei due uomini, lasciando a entrambi intatta l'illusione di una possibile conquista.
Il fragile equilibrio instauratosi nella locanda è sconvolto dall'arrivo del Cavaliere di Ripafratta, aristocratico altezzoso e misogino incallito ispirato al patrizio fiorentino Giulio Rucellai, a cui la commedia è dedicata. Il Cavaliere, ancorato alle sue nobili origini e lamentandosi del servizio scadente, detta ordini a Mirandolina. Egli cerca inoltre di mettere in ridicolo il conte e il marchese accusandoli di essersi abbassati a corteggiare una popolana.
Mirandolina, non abituata a essere trattata come una serva e ferita nel suo orgoglio femminile, si ripromette di far innamorare il Cavaliere. Sarebbe questo il suo modo di impartirgli una lezione.
«Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne.»
Secondo atto
Per fare innamorare il Cavaliere, Mirandolina si mostra sempre più gentile e piena di riguardi nei suoi confronti, finché quegli dà segni di cedimento. In seguito, dichiara di disprezzare le donne che mirano esclusivamente al matrimonio, destando immediatamente una certa ammirazione da parte della sua vittima.
Più tardi, mostra ostentatamente di non voler fare complimenti falsi al Marchese. In una famosa scena, il Marchese vuole pavoneggiarsi con la bontà di un vino di Cipro che in realtà ha un sapore disgustoso; mentre il Cavaliere non riesce a dire in faccia al suo avversario la verità, Mirandolina non esita ad affermare che il vino è davvero imbevibile.
La protagonista riesce nel suo intento procedendo per gradi e usando uno dopo l'altro diversi accorgimenti: la strategia di seduzione è ben pianificata e viene rappresentata con una generosa serie di scene comiche; il cavaliere finisce per cedere, e tutto il sentimento d'odio che provava si tramuta in un amore appassionato che lo tormenta.
Proprio il suo disprezzo verso il sesso femminile lo ha reso vulnerabile alle malizie della locandiera. Pur conoscendo le armi nemiche (temibile e intrigante mescolanza tra verità e bugie, lacrime, falsi svenimenti) egli non ha potuto difendersi come avrebbe voluto: l'abile tecnica di Mirandolina, che fin dall'inizio del secondo atto ha usato a proprio favore la misoginia del Cavaliere mostrando con falsa sincerità di disprezzare anch'ella le donne e di pensare proprio come un uomo, ha fatto sì che questi abbassasse le difese, esponendosi inevitabilmente ai suoi attacchi.
Terzo atto
Il cameriere Fabrizio è molto geloso di Mirandolina, la quale riceve addirittura in dono dal cavaliere una boccetta d'oro che però getta con disprezzo in un cesto. Il cavaliere, dilaniato da sentimenti contrastanti, non vuole far sapere di essere oggetto dei raggiri di una donna, ma allo stesso tempo spera di poterla avere per sé. Quando conte e marchese lo accusano di essersi innamorato della donna, l'orgoglio ferito del cavaliere esplode in una disputa che rischia di culminare in tragedia. Ma ancora una volta l'abile e teatrato intervento della stessa locandiera impedisce che si venga alle spade: prima di partire, il cavaliere riconosce così che per vincere l'infausto potere seduttivo femminile non basta disprezzarlo, ma è necessario fuggirlo. Il marchese, accortosi della boccetta nel cesto e credendola di scarso valore, se ne appropria e la regala poi a Dejanira, una commediante arrivata alla locanda.
Dato che l'innamoramento del cavaliere è diventato cosa pubblica, la vendetta di Mirandolina è finalmente compiuta, ma ciò comporta il risentimento sia del conte sia del marchese che, gelosi, pensano di lasciare la locanda per vendicarsi.
La donna riconosce di avere provocato troppo il cavaliere e quindi, quando questi va in escandescenze, decide di risolvere la questione sposando Fabrizio, come le aveva consigliato il padre in punto di morte. Mirandolina non lo ama veramente, ma decide di approfittare del suo aiuto sapendo che il matrimonio non sarà un vero ostacolo per la sua libertà.
Il cavaliere lascia la scena furioso e Mirandolina promette a Fabrizio che se la sposerà, lei rinuncerà al suo vizio di far innamorare altri uomini per vanità. Il conte e il marchese, in occasione del lieto evento, accettano di buona grazia la decisione di Mirandolina, la quale chiede loro di cercar rifugio presso un'altra locanda. La scena si conclude quando lei, rientrata in possesso della boccetta donatale dal cavaliere, si rivolge al pubblico e lo esorta a non lasciarsi mai ingannare dalle lusinghe di una donna. Per finire, si capisce che Fabrizio e Mirandolina si sposeranno; lei avrà così seguito il consiglio datole dal padre prima della morte, ovvero quello di sposare un uomo della sua stessa classe sociale.





La cena delle beffe


Trama:
A Firenze, sul finire del XV secolo, Lorenzo il Magnifico desidera porre fine alle offese e burle che i chiassosi fratelli, Neri e Gabriello Chiaramantesi, arrecano al vile Gianciotto Malespini. Anche la bella e disponibile Ginevra ha lasciato Gianciotto per Neri. Durante una cena in casa Tornaquinci, che aveva lo scopo di portare pace tra le parti, Neri, subdolamente spinto da Gianciotto, dà in smanie, è ritenuto pazzo e viene quindi imprigionato, così Gianciotto si riprende Ginevra. Uscito di prigione, Neri vuole vendicarsi e si presenta in casa di Gianciotto per ucciderlo. Ma non si avvede che nel....

Regia: Guglielmo Morandi

Personaggi e interpreti:

Neri Chiaramantesi: Amedeo Nazzari
Gabriello Chiaramantesi: Orazio Orlando
Giannetto Malespini: Giancarlo Sbragia
Ginevra: Liana Orfei
Cintia: Lia Zoppelli
Calandra: Mimo Billi
Cantore: Ugo Pagliai
Cintia: Lia Zoppelli
Tornaquinci: Mario Ferrari
Dottore: Michele Riccardini
Fazio: Tino Schirinzi
Fiammetta: Gabriella Galvani
Il Trinca: Antonio Battistella
Laldomine: Giovanna Pellizzi
Lapo: Giorgio Favretto
Lisabetta: Alessandra Scalera
Nencio: Enrico Urbini
Servi e staffieri:
Francesco Morillo
Diego Ghiglia
Enrico Lazzareschi
Mauro Bosco





Il mercante di venezia


Antonio: Sergio Fantoni
Bassanio: Andrea Giordana
Graziano: Massimo Dapporto
Porzia: Ilaria Occhini
Shylock: Gianrico Tedeschi
Jessica: Lina Sastri
Salesio: Pierluigi Giorgio
Solanio: Antonio Garrani
Lorenzo: Emilio Bonucci
Nerissa: Maria Teresa Martino
Baldassarre: Alfredo Piano
Lancillotto: Bruno Zanin
Il Doge: Antonio Pierfederici
Servo di Antonio Mauro Leuce
Stefano: Loris Loddi

Trama:
Venezia, XVI secolo. Bassanio, giovane gentiluomo veneziano, vorrebbe la mano di Porzia, ricca ereditiera di Belmonte. Per corteggiare degnamente Porzia, chiede al suo carissimo amico Antonio 3.000 ducati in prestito. Antonio, pur essendo affezionatissimo a Bassanio, non può prestargli il denaro, poiché è interamente investito nei traffici marittimi. Tuttavia garantirà per lui presso Shylock, ricco usuraio ebreo. Shylock è disprezzato dai cristiani e a sua volta li disprezza. Soprattutto non sopporta Antonio, il mercante di Venezia, che presta denaro gratuitamente, facendo abbassare il tasso d'interesse nella città, e che lo umilia pubblicamente con pesanti insulti. Nonostante ciò, Shylock accorda il prestito a Bassanio, con Antonio come garante. L'ebreo però, in caso di mancato pagamento, vuole una libbra della carne di Antonio. Bassanio cerca di far desistere Antonio dal fargli da garante, ma Antonio è sicuro di poter saldare il debito, dato che tre navi sono in viaggio per riportare a Venezia ricchezze tre volte più grandi. Il tempo concesso per il saldo del prestito è di tre mesi, mentre le navi arriveranno tra due. Bassanio si reca a Belmonte; i pretendenti di Porzia però, secondo la volontà del suo defunto padre, per ottenere la sua mano devono scegliere, fra tre scrigni contrassegnati da un indovinello, quello giusto...





Il lutto si addice a Elettra


Interpreti e Personaggi :

Lydia Alfonsi: Lavinia Mannon
Alida Valli: Christine Mannon
Giancarlo Dettori: Ori Mannon
Antonio Battistella: Seth
Carlo Cattaneo: Adam Brant
Stefania Corsini: Hazel Niles
Mario Feliciani: Ezra Mannon
Gianni Rizzo: Amos
Giorgio Bonora:
Silvio Bagolini: Reverendo Hills

Trama:
La vicenda si svolge all'epoca della Guerra di secessione americana, nella famiglia di un generale nordista. Agamennone è ora il generale Ezra Mannon, Clitennestra è la sua seconda moglie Christine, Oreste è suo figlio Orin, e Elettra è la figlia Lavinia. Come in una tragedia greca, l'opera tratta di omicidio, adulterio, incesto e vendetta, e la funzione del coro greco è svolta da un gruppo di cittadini. Mentre nelle tragedie greche è il solo fato a guidare le azioni dei personaggi[senza fonte], nell'opera di O'Neill le motivazioni trovano fondamento nella teoria psicoanalitica degli anni 1930. La trilogia può essere letta in chiave freudiana, facendo attenzione ai complessi di Edipo e di Elettra dei vari personaggi.
Il lutto si addice ad Elettra è divisa in tre parti (intitolate rispettivamente Ritorno, L'agguato e L'incubo) per un totale di tredici atti. Le tre parti non vengono mai rappresentate separatamente, ma solo come componenti della trilogia. La versione integrale dell'opera è ritenuta troppo lunga per un allestimento teatrale, e spesso viene messa in scena con tagli e adattamenti. Il copione originale prevede inoltre un numero molto elevato di attori. Per questi motivi non è una delle opere più rappresentate di O'Neill.





Il guardiano


Interpreti e personaggi
Peppino De Filippo: un vecchio
Ugo Pagliai: un uomo
Lino Capolicchio: un giovane

Trama:
Un uomo tranquillo invita a casa sua un vecchio vagabondo, che egli ha salvato da una rissa in un locale dove ha lavorato per qualche tempo. L'ospite si fa chiamare Pasquale Scognamiglio, mentre in realtà si chiama Ciro Ruotolo. I documenti che dimostrerebbero la sua vera identità si trovano in un luogo sconosciuto chiamato Paulla. Il guaio è che non può andarli a prendere perché non ha scarpe decenti ed il tempo non è mai abbastanza buono. Il barbone, essere vanitoso, vigliacco, irascibile e pieno di pregiudizi, potrebbe tranquillamente convivere con il gentile padrone di casa e suo fratello più giovane, che è proprietario dello stabile e che sogna di trasformarlo rimettendolo a nuovo. Gli viene addirittura offerto il posto di guardiano, ma il vecchio non resiste alla tentazione di mettere i due fratelli l'uno contro l'altro, e di dare vita ad una vera e propria lotta di dominio per impossessarsi della casa. Finirà schiacciato dalle sue menzogne e dalle sue paure elemosinando un'ultima possibilità di rimanere nella casa.





Il giardino dei ciliegi


Regia: Mario Ferrero

Personaggi e interpreti:
Ljubov Andréevna: Andreina Pagnani
Gaev Leonid Andréevic: Tino Carraro
Lopachin: Gastone Moschin
Dunjasa: Angela Cardile
Epichodov Pantaléevic: Enrico Ostermann
Firs: Franco Sportelli
Anja: Lorenza Biella
Varja: Anna Miserocchi
Charlotte: Irene Aloisi
Simeonov Piscik: Mario Carotenuto
Jasa: Umberto Ceriani
Trofimov: Renato De Carmine
Forestiero: Piero Nuti
Capostazione: Roberto Pescara
Impiegato postale: Antonio La Rajna

Trama:
Atto I
Il primo atto si apre nelle prime ore della mattina di un giorno di maggio nella camera dei bambini dell'antica proprietà della Ranevskaja, in una provincia Russa agli inizi del XX secolo. Dopo aver vissuto cinque anni a Parigi, Ljubov' Andreevna Ranevskaja (?????? ????????? ?????????), detta Ljuba, ritorna a casa con la figlia Anja (???) di 17 anni, con Šarlotta Ivanovna (???????? ????????), la governante tedesca, e con Jaša, un servitore. Ai tre vanno incontro Varja (????), la figlia adottiva di Ljuba, la quale si è occupata della proprietà in assenza della madre, Ermolaj Alekseevic Lopachin (??????? ?????????? ???????), mercante e amico di famiglia, Leonid Andreevic Gaiev (?????? ????????? ????), fratello di Ljuba, e i servitori della casa: Dunjaša (??????), la governante che si comporta come una signora dell'alta società, Epichodov (???????? ????? ???????????), contabile maldestro e aspirante marito di Dunjaša, e infine il vecchio servitore Firs (????), che dopo l'emancipazione dei servi del 1861 era rimasto a servizio presso la famiglia.
Poco dopo il suo arrivo, Ljuba viene informata del fatto che la proprietà sarà messa all'asta in agosto, per pagare i debiti accumulati. Lopachin si offre di aiutarla, illustrandole il suo piano: dividere il giardino in tanti lotti da affittare ai villeggianti d'estate. Ma l'idea che il suo giardino venga distrutto non piace a Ljuba che lo considera parte fondamentale della sua vita, simbolo della sua gioventù e della sua infanzia. Mentre Ljuba parla del passato e osserva la bellezza del suo giardino illuminato dalle prime luci dell'alba, le viene incontro Petr Sergeevic Trofimov (???? ????????? ????????), uno studente che aveva, in passato, fatto da tutore al figlio della Ranevskaja, Griša. A questo punto veniamo informati che il bambino è annegato cinque anni prima e che questa tragedia ha contribuito alla partenza di Ljuba.
Dopo che quasi tutti si ritirano per dormire, Anja confessa a Varja che la madre ha molti debiti e che lo zio, Gaiev, vorrebbe inviare la giovane a Jaroslavl', da una vecchia zia che potrebbe prestar loro dei soldi. Gaiev fa anche notare a Varja che Lopachin è un uomo ricco e che è probabilmente intenzionato a sposarla, cosa che potrebbe salvare la proprietà. Dopo aver parlato, Varja, Anja e Gaiev vanno a dormire, sperando che il futuro porti una soluzione per salvare il giardino.
Atto II
Il secondo atto si apre su una strada che costeggia il giardino dei ciliegi. Siamo a metà della stagione estiva. La proprietà è ancora in pericolo, ma la famiglia sembra non curarsene. Jaša e Dunjaša giocano agli innamorati, mentre Epichodov spera sempre di sposare la ragazza. Anja sembra essersi innamorata di Trofimov, cosa che fa infuriare Varja, la quale, da parte sua, è irritata dalle voci sul suo imminente matrimonio con Lopachin. Quest'ultimo è l'unico che cerca di riportare il discorso sugli affari della proprietà, ma Ljuba riesce solo a pensare alla sua relazione con un uomo di Parigi, un amante che si è approfittato della sua ricchezza, sperperando il suo patrimonio per poi abbandonarla.
Entra Trofimov e Lopachin lo prende in giro per la sua condizione di "eterno studente". Trofimov risponde esponendo il suo pensiero sul lavoro e sulla società. Durante la conversazione appare sulla strada un viandante, il quale chiede alla compagnia qualche soldo. Ljuba, senza pensarci, gli dà un gran quantità di denaro, cosa che manda su tutte le furie Varja. Disturbati e scossi dal nuovo arrivato, tutti si preparano a tornare a casa per la cena, seguiti da Lopachin che continua ad insistere sulla necessità di trasformare il giardino in villette per pagare i debiti.
Anja rimane indietro insieme a Trofimov. Il giovane studente è irritato dal modo di fare indagatorio di Varja, la quale non capisce, a suo avviso, che i due giovani sono "al di sopra dell'amore". Parlano della nuova vita che li aspetta. Da lontano si ode la voce di Varja che cerca la sorella. I due, allora, corrono verso il fiume per non farsi trovare.
Atto III
Sono passati diversi mesi ed è arrivato l'atteso momento della festa a casa di Ljuba. Un'orchestra fuori dalla scena suona, mentre la famiglia e i suoi ospiti bevono, discorrono e si divertono. È anche il giorno dell'asta. Gaiev ha ricevuto una piccola somma di denaro dalla zia di Jaroslavl', non sufficiente a pagare i debiti, e i membri della famiglia, in contrasto con l'aria allegra che li circonda, sono in ansiosa attesa.
Varja si preoccupa di come potranno pagare i musicisti e rimprovera tutti: Trofimov per il troppo bere, Dunjaša perché balla come fosse un'invitata, Epichodov per aver giocato a biliardo. Šarlotta fa divertire gli ospiti con i giochi di prestigio. Ljuba rimprovera Trofimov per aver preso in giro Varja chiamandola "Madame Lopachin" e insiste con la figlia adottiva affinché si dia da fare per sposare il mercante, ma Varja dice che è compito dell'uomo farle la proposta. E aggiunge che se avesse soldi, scapperebbe il più lontano possibile da lui.
Rimasto solo con Ljuba, Trofimov cerca di farle capire che il giardino sarà effettivamente venduto, e insiste affinché la donna prenda coscienza della sua nuova condizione. Ljuba mostra a Trofimov un telegramma arrivato da Parigi, che la informa che il suo vecchio amante è malato e le chiede di tornare da lui e di perdonarlo per il tradimento. Ljuba ammette che vorrebbe raggiungerlo. Il giovane è contrariato dalla decisione della donna, cerca di convincerla a non commettere quello che secondo il suo punto di vista sarebbe un enorme errore. I due si scontrano e discutono sull'argomento, portando alla luce due concezioni profondamente diverse dell'amore. Trofimov, ferito dalle parole della donna, fugge e nella fretta cade dalle scale, divertendo gli altri che lo riportano nella sala. Ljuba si rasserena e i due si riconciliano.
Improvvisamente Anja entra con la notizia che il giardino dei ciliegi è stato venduto. Entrano Lopachin e Gaiev, entrambi stanchi per il viaggio e per la lunga giornata. Gaiev appare frastornato e si fa accompagnare a letto senza dire una parola riguardo all'asta. Alla domanda di Ljuba su chi avesse comprato la proprietà, Lopachin rivela di essere stato lui. Varja esce infuriata dopo aver gettato ai piedi del mercante le chiavi della proprietà. Lopachin, ubriaco, racconta dell'asta. Il suo monologo rivela come non sia tanto la gioia, ma la rabbia ad aver guidato le sue azioni. Lopachin è al tempo stesso esaltato per essere riuscito ad appropriarsi della proprietà dove suo padre era stato servo, e triste e arrabbiato per la sofferenza causata a Ljuba e per la fine di tutto. Ljuba, disperata, viene consolata da Anja, la quale incoraggia la madre dicendole che quello è l'inizio di una nuova vita.
Atto IV
Alcune settimane dopo l'azione si sposta di nuovo nella camera dei bambini, come nel primo atto, ma questa volta i mobili sono coperti da teli e fervono i preparativi della partenza. Lopachin arriva con dello champagne per salutare la famiglia, ma Ljuba e Gaiev non accettano il dono. Nonostante l'affetto sincero che il mercante prova per loro, i due vedono in lui la figura che ha distrutto i ricordi della loro infanzia e la loro felicità.
Rimasto solo in scena, Lopachin viene raggiunto da Trofimov, in cerca delle sue calosce. I due si salutano, imbarazzati, parlando del loro punto di vista a proposito della vita e del mondo, rivelando un'affinità nelle loro concezioni apparentemente opposte, ammettono di volersi bene e di provare una certa stima l'uno nei confronti dell'altro. Si odono dei colpi d'ascia all'esterno, e Anja entra dicendo che la madre vorrebbe che il giardino rimanesse intatto fino alla loro partenza. Lopachin si scusa e corre fuori per ordinare ai suoi lavoratori di smettere. Anja chiede della salute di Firs, e Jaša la informa che il vecchio servitore è stato portato all'ospedale. Entra Dunjaša che si getta tra le braccia del lacchè, in partenza anch'egli per Parigi. L'uomo, però, le fa capire che non ricambia il suo amore e in malo modo la allontana. Entra anche Šarlotta, sperduta, e chiede alla famiglia di trovarle un posto.
Gaiev e Ljuba entrano nella camera per dare il loro addio alla casa della loro infanzia. Gaiev annuncia di aver trovato un lavoro in banca e Ljuba rivela la sua ferma intenzione di tornare a Parigi dal suo vecchio amante. A Lopachin chiede di proporsi a Varja. L'uomo si dichiara pronto e tutti escono. Quando Varja entra sapendo che il momento della proposta è giunto, inizia a parlare con Lopachin, ma entrambi sono in imbarazzo e la conversazione gira intorno ad argomenti futili come il tempo. Quando uno dei lavoratori chiama Lopachin, l'uomo esce in fretta senza esser riuscito a fare la proposta a Varja. La ragazza si dispera e Ljuba cerca di consolarla.
Lentamente rientrano tutti in scena, pronti a partire. Uno per uno si allontanano dando il loro ultimo addio alla casa e al giardino dei ciliegi. Chi senza speranza, come Varja e Šarlotta, chi pronto a vivere una vita nuova, come Trofimov e Anja. Gaiev e Ljuba rimangono soli nella stanza della loro infanzia. Piangendo, si abbracciano e salutano per sempre il loro vecchio mondo. Quando escono, si ode il rumore della porta chiusa a chiave per l'ultima volta.
La scena ora è vuota. Si sente il rumore di una porta che viene aperta, e Firs entra tossendo. Il vecchio servitore scopre di essere stato lasciato nella proprietà, solo, a morire. Si sdraia su una poltrona e si abbandona al suo destino, mentre fuori scena si odono i primi colpi che abbatteranno il giardino dei ciliegi.





Il gabbiano


Personaggi e Interpreti:

Irina: Anna Proclemer
Nina: Ilaria Occhini
Boris A. Trigorin: Giancarlo Sbragia
Trepliov: Gabriele Lavia
Mascia: Nicoletta Languasco
Piotr Nicolàevic Sorin: Gianrico Tedeschi
Evghenij S. Dorn: Mario Feliciani
Paolina Andréevna: Gabriella Giacobbe
Ilja Afanasievic: Renato Lupi
Jakov: Sergio Volsini
Semion Semionovic: Ettore Toscano
Cameriera: Atanassia Singhellaki Cameriera: Winnie Riva
Cuoco: Vasco Santoni

Regia: Orazio Costa Giovangigli

Trama:
Atto I
Il dramma si svolge in una tenuta estiva, proprietà di Sorin, un ex Consigliere di Stato di salute cagionevole. Sorin è il fratello della famosa attrice Arkadina, che è appena giunta nella tenuta con il suo amante, Trigorin, per una breve vacanza. Nel primo atto, le persone che sono nella tenuta di Sorin si riuniscono per assistere a un dramma scritto e diretto da Konstantin Treplev, il figlio di Arkadina. Recita nel "dramma nel dramma" Nina, una giovane donna che vive in una vicina tenuta, che impersona "l'anima del mondo". Il dramma è il più recente tentativo di creare una nuova forma teatrale, e assomiglia a un'intensa opera simbolista. Arkadina ride del dramma, trovandolo ridicolo e incomprensibile, e Treplev si infuria. Il primo atto mette in scena i molti triangoli romantici del dramma. Il maestro elementare Medvedenko ama Masha, la figlia dell'amministratore della tenuta. Masha a sua volta ama, non corrisposta, Treplev, che fa la corte a Nina. Quando Masha parla al dottor Dorn del suo amore, questi sconsolato attribuisce al lago l'umore romantico di tutti i presenti.
Atto II
Il secondo atto si svolge di pomeriggio, fuori della tenuta, qualche giorno dopo. Dopo aver ricordato i bei tempi felici, Arkadina comincia un'accesa discussione con l'amministratore Shamrayef e decide di partire immediatamente. Nina invece rimane e riceve da Treplev un gabbiano a cui Treplev stesso ha sparato. Nina è confusa e inorridita dal dono. Treplev vede Trigorin che si avvicina, e se ne va colto da una fitta di gelosia. Entra Trigorin, uno scrittore famoso. Nina gli chiede di parlarle della vita da scrittore. Trigorin risponde che non è una vita facile. Nina dice che lei sa che anche la vita da attrice non è facile, ma lei vuole questo più di ogni altra cosa. Trigorin vede il gabbiano ucciso da Trepliov e medita su come farlo diventare il soggetto di un racconto: "Una giovane donna vive tutta la sua vita in riva a un lago. Lei ama il lago, come un gabbiano, ed è felice e libera, come un gabbiano. Ma per caso arriva un uomo, e quando la vede la distrugge, per pura noia. Come questo gabbiano". Arkadina fa chiamare Trigorin e questi parte mentre lei gli dice di aver cambiato idea e che non partiranno immediatamente. Nina indugia, affascinata dalla celebrità e dalla modestia di Trigorin ed esclama "Il mio sogno!".
Atto III
Il terzo atto si svolge dentro la tenuta, il giorno che Arkadina e Trigorin hanno deciso di partire. Tra i due atti Trepliov ha tentato il suicidio sparandosi alla testa, ma il proiettile gli ha solo scalfito il cranio. Per tutto il terzo atto egli ha il capo fasciato con delle bende. Nina arriva quando Trigorin sta facendo colazione e gli presenta un medaglione che mostra la sua devozione per lui con un verso tratto da uno dei libri di Trigorin: "Se hai bisogno della mia vita, vieni e prendila". Nina si ritira dopo aver implorato di avere un'ultima occasione per vedere Trigorin prima che lui parta. Entra in scena Arkadina, seguita da Sorin, la cui salute continua a peggiorare. Trigorin esce per finire di preparare i bagagli. C'è una breve lite tra Arkadina e Sorin, dopo la quale Sorin si accascia per il dolore ed è soccorso da Medvedenko. Entra Trepliov che chiede alla madre di cambiargli le bende. Mentre lei gli cambia le bende, scoppia una lite tra madre e figlio anche perché Trepliov denigra Trigorin, dopo la quale Trepliov lascia la stanza in lacrime. Rientra Trigorin e chiede ad Arkadina se possono rimanere nella tenuta, in virtù dell'attrazione che egli sente nei confronti di Nina. Arkadina lo lusinga e lo convince a tornare a Mosca. Partita Arkadina, arriva Nina per dare l'addio finale a Trigorin e informarlo che sta per fuggire via per diventare attrice, contro il volere dei genitori. I due si baciano appassionatamente e decidono di rincontrarsi a Mosca.
Atto IV
Il quarto atto si svolge in inverno due anni dopo, nel salotto che è diventato lo studio di Trepliov. Maša ha finalmente accettato di sposare Medvedenko e adesso hanno un bambino, anche se Maša ancora ama, non corrisposta, Trepliov. Vari personaggi discutono di quello che è accaduto nei due anni che sono trascorsi: Nina e Trigorin hanno vissuto insieme a Mosca per un periodo, poi lui l'ha abbandonata ed è tornato da Arkadina. Nina non ha mai avuto un vero successo come attrice e adesso è in tournée in provincia con una piccola compagnia teatrale. Trepliov ha pubblicato alcuni racconti ma è sempre più depresso. La salute di Sorin sta peggiorando e gli abitanti della tenuta hanno telegrafato ad Arkadina perché torni a vederlo prima che muoia. La maggior parte dei personaggi vanno nel salotto per giocare a tombola. Treplev non si unisce a loro, e passa il tempo lavorando a un manoscritto sulla sua scrivania. Il gruppo esce per andare a pranzo, entra Nina da una porta posteriore e racconta a Trepliov la sua vita negli ultimi due anni. Nina comincia a paragonarsi al gabbiano - l'uccello ucciso da Treplev - poi cambia idea e dice "Sono un'attrice". Dice di essere stata costretta ad andare in tournée con una compagnia teatrale di seconda categoria dopo la morte del bambino avuto da Trigorin, ma adesso sembra aver ritrovato la speranza. Trepliov la supplica di restare, ma lei è troppo confusa per accettare. Sconfortato, Trepliov passa diversi minuti strappando il manoscritto prima di uscire dalla stanza in silenzio. Il gruppo rientra e ricomincia a giocare a tombola. C'è uno sparo improvviso fuori scena e Dorn va a vedere che cosa è successo. Ritorna e prende da parte Trigorin, dicendogli di portar via Arkadina in qualche modo, perché Trepliov si è appena sparato.





Il berretto a sonagli


Regista: Edmo Fenoglio

Personaggi e interpreti:
Ciampa: Salvo Randone
Beatrice Fiorica: Anita Laurenzi
Assunta La Bella: Wanda Capodaglio
Fifì La Bella: Stefano Satta Flores
Il delegato Spanò: Silvio Spaccesi
La Saracena: Elsa Merlini
Fana: Italia Marchesini
Nina Ciampa: Olimpia Carlisi

Trama
Beatrice decide di convocare a sé il delegato Spanò per sporgere denuncia per adulterio nei confronti del marito che la tradisce con Nina, la moglie di Ciampa lo scrivano del marito.
Il delegato Spanò, chiamato a casa di Beatrice, cerca di sottrarsi dall'ingrato compito di accettare la denuncia per poi dover indagare il Cavaliere e coglierlo in flagrante. Messo alle strette, deve alla fine cedere alle insistenze di Beatrice.
Ciampa va a casa di Beatrice. Cerca di convincerla a considerare i gravi problemi che scaturirebbero da una denuncia....





I corvi


Regia di Sandro Bolchi

Personaggi e interpreti:
Signora Vigneron: Rina Morelli
Signor Vigneron: Renzo Ricci
Maria: Ileana Ghione
Giuditta: Marina Dolfin
Bianca: Lucia Scalera
Signora De Saint Genis: Lina Volonghi
Teissier: Paolo Stoppa
Bourdon: Tino Carraro
Lefort: Mario Pisu
Dupuis: Ugo Pagliai
Augusto: Consalvo Dell'Arti
Medico : Paolo Todisco
Merchens: Andrea Lala
Rosalia: Emma Fedeli

Trama:
La commedia si apre con una scena familiare ambientata nella ricca dimora parigina della famiglia Vigneron. Madame Vigneron, moglie dell'industriale Monsieur Vigneron, sta organizzando una cena alla quale sono invitati l'anziano Monsieur Teissier, socio in affari di Vigneron, Bourdon, notaio dei due imprenditori, Georges de Saint-Genis, promesso sposo di una delle tre figlie di Vigneron, sua madre Madame de Saint-Genis e i suoi testimoni di nozze, il generale Fromentin e Monsieur Lenormand. Monsieur Vigneron scherza con il figlio e le figlie, preoccupate per la sua salute, e nell'allegria generale dell'atmosfera manifesta soddisfazione per la condizione agiata che ha raggiunto grazie alla collaborazione con Teissier. Poco prima della cena tuttavia, colpito da un'apoplessia fulminante, Monsieur Vigneron muore.[3]
Nel secondo atto, per la costernazione della famiglia (già addolorata per la perdita), si scopre poco alla volta che la fortuna di Monsieur Vigneron è molto più esigua di quanto si pensasse: egli guadagnava denaro, ma non possedeva riserve consistenti, e i suoi investimenti non hanno un valore sicuro in assenza dell'uomo che avrebbe dovuto tenerli sotto costante controllo per farli fruttare.[4] Man mano che questo stato di cose viene alla luce, coloro che erano gli alleati della famiglia Vigneron la abbandonano al suo destino, e compaiono da ogni parte creditori spietati. «I corvi non tardano ad avventarsi sulla carcassa di Monsieur Vigneron».[4] Teissier e Bourdon sembrano voler venire in aiuto della famiglia, ma la freddezza dei loro calcoli imprenditoriali adombra piuttosto la volontà di fare il proprio interesse anche a spese della vedova e dei suoi figli, che del resto si rivelano troppo ingenui per difendere i propri averi.[5]
Dopo aver a lungo tramato, nel terzo atto la madre di Monsieur Saint-Genis riesce nell'intento di sabotare il matrimonio del proprio figlio Georges con Blanche Vigneron. Costei, distrutta dal dolore e disonorata, è sotto shock. La situazione precipita rapidamente, quando diviene chiaro che nemmeno i beni immobili lasciati da Vigneron (dei terreni e una fabbrica) basteranno a salvare le sorti della famiglia. È allora che Monsieur Teissier comincia a manifestare il proprio interesse per Marie Vigneron e le offre un matrimonio che toglierebbe lui dalla solitudine e lei (insieme alla sua famiglia) dalla prospettiva della miseria. Marie però, spaventata dall'ambiguità del vecchio, rifiuta la proposta.[6]
All'inizio dell'ultimo atto, il sipario si leva su una scenografia che non rappresenta più un salone elegante e ben arredato, ma una dimora squallida e povera. La signora e le signorine Vigneron sopravvivono a pane e caffellatte, Gaston Vigneron è partito soldato. Blanche non si è riavuta dallo shock. Infine, cedendo a pressioni che vengono un po' da ogni parte, Marie accetta di sposare Monsieur Teissier, che, nonostante le sue ambiguità, sembra pur sempre l'unica difesa contro la minaccia dei «corvi».[7]





Edipo Re


Personaggi e interpreti
Creonte: Corsini, Attilio
Il nunzio: Proietti, Gigi
Il messo corinzio: Celi, Adolfo
Il pastore: Graziani, Sergio
Il sacerdote: Mangano, Riccardo
Tiresia: Buazzelli, Tino
Giocasta: Massari, Lea
Il corifeo: Amidei Migliano, Adriano
Le ancelle: Brugnola, Angela
Le ancelle: Goell, Julie

Trama:
L'opera si inserisce nel cosiddetto ciclo tebano, ossia la storia in chiave mitologica della città di Tebe, e narra come Edipo, re carismatico e amato dal suo popolo, nel breve volgere di un solo giorno venga a conoscere l'orrenda verità sul suo passato: senza saperlo ha infatti ucciso il proprio padre per poi generare figli con la propria madre. Sconvolto da queste rivelazioni, che fanno di lui un uomo maledetto dagli dei, Edipo reagisce accecandosi, perde il titolo di re di Tebe e chiede di andare in esilio.
Prologo (vv. 1-150): Edipo è impegnato a debellare una pestilenza che tormenta Tebe, la sua città, mentre una folla supplicante si pone attorno a lui per chiedergli di salvarli dalla fame e dal contagio; Edipo, sovrano illuminato e sollecito verso il proprio popolo, afferma di aver già mandato Creonte, fratello della regina, ad interrogare l'oracolo di Delfi sulle cause dell'epidemia. Al suo ritorno Creonte rivela che la città è contaminata dall'uccisione di Laio, il precedente re di Tebe, che è rimasta impunita: il suo assassino vive ancora in città e finché questi non sarà identificato e esiliato o ucciso la pace e la prosperità non potranno tornare. Edipo chiede altre informazioni a Creonte, il quale continua dicendo che al tempo in cui la città era sotto l'incubo della Sfinge Laio stava andando a Delfi quando, lungo la strada, fu assalito da briganti da cui secondo il racconto di un testimone fu ucciso.
Parodo (vv. 151-215): Entra il coro di anziani tebani, cantando una preghiera agli dei perché intervengano a protezione della città.
Primo episodio (vv. 216-462): Edipo proclama un bando che prevede l'esilio per l'uccisore di Laio e per chi lo protegga o lo nasconda; il re convoca inoltre Tiresia, l'indovino cieco, perché sveli l'identità dell'assassino. Egli però rifiuta di rispondere, considerando più saggio tacere per non richiamare altre sventure: Edipo tuttavia si adira e intima a Tiresia di parlare. Il vecchio non si decide e la collera del re aumenta; allora Tiresia risponde accusando Edipo di essere l'autore dell'omicidio. Il re è indignato e comincia a sospettare che Creonte e Tiresia abbiano ordito un piano per detronizzarlo. L'indovino quindi si allontana, profetizzando che entro la fine di quel giorno il colpevole sarà scoperto e se ne andrà mendico e cieco in terra straniera.
Primo stasimo (vv. 463-511): Il coro dapprima immagina la fuga del colpevole, braccato tanto dagli uomini quanto da Apollo e dalle Keres (dee simbolo del fato avverso), per poi decidere di non dare credito alle parole di Tiresia: nemmeno il grande indovino è infallibile.
Secondo episodio (vv. 512-862): Creonte chiede se sia vero che Edipo lo crede colpevole di cospirazione. Quest'ultimo lo accusa apertamente, con toni sempre più accesi: Creonte non si trovava infatti a Tebe, insieme a Tiresia, quando Laio fu ucciso? Creonte gli risponde pacatamente di non avere interesse al trono e nel mentre interviene Giocasta, vedova di Laio e ora moglie di Edipo, per mettere pace tra i due. Ella invita il marito a non dare ascolto a nessun oracolo e a nessun indovino: anche a Laio era stata fatta una profezia, secondo la quale sarebbe stato ucciso dal figlio, mentre ad ucciderlo erano stati alcuni banditi sulla strada per Delfi là dove si incontrano tre strade. A sentire le parole di Giocasta, Edipo resta turbato e chiede di convocare il testimone di quell'omicidio. La regina chiede al marito il motivo del suo turbamento, così Edipo comincia a raccontare: da giovane era principe ereditario di Corinto, figlio del re Polibo, e un giorno l'oracolo di Delfi gli predisse che avrebbe ucciso il proprio padre e sposato la propria madre. Sconvolto da quella profezia, per evitare che essa potesse avverarsi Edipo aveva deciso di fuggire ma sulla strada tra Delfi e Tebe, in un punto dove si uniscono tre strade, aveva avuto un alterco con un uomo e l'aveva ucciso. Se quell'uomo fosse stato Laio? Il coro tuttavia lo invita a non trarre conclusioni affrettate e a sentire prima il testimone dell'omicidio.
Secondo stasimo (vv. 863-910): Il coro è turbato dall'incredulità di Giocasta davanti agli oracoli e lancia un ammonimento contro chi pretende di violare le leggi eterne degli dei: quando gli uomini non riconoscono più la giustizia divina e procedono con superbia (hybris), lì si cela la tirannide[2].
Terzo episodio (vv. 911-1085): Giunge un messo da Corinto che informa che re Polibo è morto. Edipo è rassicurato da quelle parole perché suo padre non è morto per mano sua. Rimane la parte della profezia riguardante sua madre, così Edipo chiede notizie di lei: il messo, per rassicurarlo pienamente, gli dice che non c'è pericolo che egli possa generare figli con la propria madre poiché i sovrani di Corinto non sono i suoi genitori naturali in quanto Edipo era stato adottato. Il messo può testimoniarlo con certezza perché un tempo faceva il pastore sul monte Citerone e era stato proprio lui a ricevere un Edipo neonato da un servo della casa di Laio e a portarlo a Corinto. A questo punto Edipo si vede vicino alla scoperta delle proprie origini e ordina che sia convocato il servo di Laio; Giocasta, invece, ha ormai capito tutta la verità e supplica Edipo di non andare avanti con le ricerche, ma non viene ascoltata.
Terzo stasimo (vv. 1086-1109): Il coro esulta perché Edipo è ormai vicino a conoscere le proprie origini ed esalta il Citerone come patria e nutrice di Edipo stesso[3].
Quarto episodio (vv. 1110-1185): Arriva il servo di Laio che Edipo attende con tanta impazienza. Tempestato di domande, il servo innanzitutto cerca di dissuadere Edipo dal continuare a interrogarlo, ma quest'ultimo ormai vuole ascoltare tutta la verità. Il servo allora conferma che aveva ricevuto il bambino (che era figlio di Laio) con l'ordine di ucciderlo in quanto, secondo una profezia, il piccolo avrebbe ucciso il padre. Tuttavia, per pietà, il servo non l'aveva ucciso e l'aveva invece consegnato al pastore che l'aveva portato a Corinto. A questo punto l'intera vicenda è chiarita e, al colmo dell'orrore, Edipo rientra nel suo palazzo gridando: «Luce, che io ti veda ora per l'ultima volta»[4].
Quarto stasimo (vv. 1186-1222): Gli anziani tebani che costituiscono il coro compiangono la sorte di Edipo, re stimato da tutti che in breve si è scoperto autore involontario di atti orribili. I tebani vorrebbero non averlo mai conosciuto tanto è l'orrore e al tempo stesso la pietà che la sua vicenda suscita in loro.
Edipo bambino viene nutrito da un pastore (scultura di Antoine-Denis Chaudet, 1810, Museo del Louvre)
Esodo (vv. 1223-1530): Un messo esce dal palazzo di Edipo e annuncia disperato che Giocasta si è impiccata e che Edipo, appena l'ha vista, si è accecato con la fibbia della veste di lei. In quel momento appare Edipo, accompagnato da un canto pietoso del coro, che afferma di aver compiuto quell'atto perché nulla ormai, a lui che è maledetto, può più essere dolce vedere. In quel momento arriva Creonte, che di fronte alla disperazione di Edipo lo esorta ad avere fiducia in Apollo. Edipo abbraccia quindi le sue figlie Antigone e Ismene, compiangendole perché esse, figlie di nozze incestuose, saranno sicuramente emarginate dalla vita sociale. Infine chiede a Creonte di essere esiliato, in quanto uomo in odio agli dei.





Don Giovanni


Regia: Vittorio Cottafavi 1967
Personaggio e interpreti:
Don Giovanni: Giorgio Albertazzi
Sganarello: Franco Parenti
Elvira: Margherita Guzzinati
Carlotta: Gianna Giachetti
Petruccio: Renzo Palmer
Don Alonso: Stefano Satta Flores
Don Carlos: Carlo Cataneo
Don Luigi: Sergio Tofano
Maturina: Mila Sannoner
Gusman: L. Durissi
La Ramée: Gino Nelinti
La Violette: Pierluigi Aprà
Signor Domenica: Camillo Milli
Un povero: Enrico Canestrini
Ragotin: Pierluigi Zollo

Trama:

Atto I
La scena inizia con Sganarello e Gusmano che discutono sulla inaspettata e segreta partenza di Elvira, al seguito del marito Don Giovanni. Durante la discussione, Sganarello si lascia andare, confidandosi e confessando al Gusmano chi realmente è Don Giovanni: un padrone perfido, cinico e libertino, che prova diletto nel conquistare le donne e consumare i piaceri carnali, per poi abbandonarle con disprezzo. Dopo la dipartita di Gusmano sopraggiunge Don Giovanni, il quale ha un lungo discorso con Sganarello sul suo modo di vivere: egli gli confessa che non riesce a restar legato a una donna perché dopo la prima consumazione dell'atto sessuale, quest'ultima perde di fascino e di interesse per lui, il quale, quasi per istinto, è costretto a cercarne nuovamente un'altra, alla quale riservare il triste e perfido trattamento della precedente. Il loro dialogo si interrompe improvvisamente alla vista della “prossima designata” alle crudeltà di Don Giovanni, il quale ordisce insieme al mal volenteroso Sganarello un piano per rapirla in barca durante una gita col suo legittimo fidanzato, sul mare. Sganarello obbedisce come sempre agli ordini del padrone che però cerca sempre di dissuadere in qualche modo dalle sue iniquità. Infatti durante il dialogo, Sganarello chiede a Don Giovanni se sia realmente il caso di rapirla con la forza, dato che 6 mesi prima era addirittura arrivato ad uccidere un Commendatore, padre di una delle sue innumerevoli vittime, reato per il quale era stato assolto dal giudice. Successivamente Elvira riesce a trovare per strada il suo consorte, il quale ipocritamente afferma di sentirsi colpevole di averla sottratta al convento in cui lei stava e di averla sposata, perché adesso sente che il Cielo gli è avverso e finalmente lui se ne è accorto. Un altro dei temi ricorrenti dal I fino al V atto è il concetto del Cielo come sommo giudice, che non si può beffare, e che dopo aver concesso un'innumerevole quantità di chance di redenzione, punirà chi gli volterà le spalle. Un Dio quindi inteso come una forza esterna che va temuta; vagamente rassomigliante al concetto che i greci avevano dei propri dei pagani, anziché all'attuale Dio del cattolicesimo. Ritornando al dibattito tra Don Giovanni ed Elvira, quest'ultima non crede alle fandonie inventate seduta stante dal marito, al quale giura di vendicarsi in maniera terribile.
Atto II
Il piano del malefico Don Giovanni e Sganarello viene sventato da un'improvvisa burrasca che li scaraventa sulla battigia della costa. Quivi vengono recuperati e tratti in salvo da due contadini: Pierotto e Carlotta, promessi sposi. Una volta recuperati i sensi Don Giovanni, accortosi della bellezza di Carlotta, si rinfranca dal suo recente fallimento, e si getta nella sua arte della seduzione, con encomi ed elogi iperbolici alla umile contadina, che dapprima non si fida molto dei grandi paroloni adorni di Don Giovanni. Alla fine però cede alla tentazione di poter abbandonare il suo misero rango di contadina e divenire un'agiata signora. A nulla servono le esortazioni a mantenere la sua promessa di matrimonio, che le vengono ricordate dal fidanzato Pierotto, accortosi di quello che accade. Dopo aver usato, in maniera vile, Carlotta come scudo per difendersi dalle percosse di Don Giovanni, Pierotto si dilegua in preda all'angoscia. Al riguardo del matrimonio, va ricordato che a quell'epoca si usava sposarsi prendendo fisicamente la mano della presunta moglie, senza la presenza di testimoni. Non appena Pierotto se ne va, sopraggiunge Maturina, un'altra contadina, alla quale Don Giovanni precedentemente aveva promesso di sposarla, che, sospettando dell'infedeltà del futuro marito, rivendica davanti ai presenti di essere la sola designata a maritarsi con lui. Ha quindi luogo un acceso dibattito tra Carlotta e Maturina, senza esclusione di offese e scherni, nel quale entrambe affermano di essere le promesse consorti di Don Giovanni. Quest'ultimo riesce ad evitare il medesimo confronto e le eventuali scuse con uno scaltrissimo stratagemma il quale consiste nel negare e allo stesso tempo affermare quello che ognuna delle due asserisce. Tale dibattito si conclude con la promessa, ad entrambe, di matrimonio che viene così posticipato all'indomani mattina. In quell'istante sopraggiunge Ramaccio, uno spadaccino al servizio di Don Giovanni, che reca a quest'ultimo la notizia che dodici uomini a cavallo lo stanno cercando, con cattive intenzioni. All'udire tali parole, Don Giovanni escogita all'istante lo stratagemma di scambiarsi d'abito con Sganarello, il quale, afferrando subito lo scopo di tale manovra e compresi i rischi che corre, escogita a sua volta un piano migliore.
Atto III
Don Giovanni asseconda e adotta quindi l'idea di Sganarello, che consiste nel vestirsi da viaggiatore lui, e da medico il servo. Ha luogo quindi un altro dialogo tra Don Giovanni e Sganarello, dal quale emerge lentamente il carattere vile del servo. Egli infatti si diverte nel raccontare al padrone di aver abusato dell'abito da medico che indossa, per prescrivere medicine puramente a casaccio, al primo malcapitato, che supplicava il suo parere e/o supporto medico. Tale scena va a riprendere il “tema dell'abito che fa il monaco”, assai ricorrente in quasi tutte le pièces di Molière, soprattutto ne il Medico Volante. Strada facendo Don Giovanni e Sganarello incontrano Francesco, un povero mendicante, al quale chiedono informazioni per giungere in città. Il pover'uomo accetta di buon grado di aiutarli, indicandogli la strada e inoltre avvertendoli che l'intera zona è da diverso tempo battuta da predoni. Al momento dei ringraziamento per le preziose informazioni, il povero chiede gentilmente a Don Giovanni, in cambio di una perpetua preghiera, di fargli un'elemosina: il libertino accetta, a patto che egli bestemmi. Il pover'uomo dimostra di essere povero economicamente, ma riccamente volitivo e saldo alla fede che non tradisce nemmeno in cambio di un Luigi d'Oro, preferendo morire di fame. Don Giovanni allora, mosso da un barlume di inaspettata compassione, gli dona ugualmente un Luigi d'Oro, asserendo di darglielo per amore dell'umanità. In quel medesimo istante Don Giovanni intravede da lontano un uomo assalito da tre banditi, scena di enorme vigliaccheria (come asserisce lo stesso Don Giovanni), che lo chiama in suo aiuto. Grazie alla sua destrezza nella spada mette in fuga i banditi, e ottiene così una devotissima riconoscenza dall'assalito. si scopre però che questi è Don Carlos, uno dei fratelli di Elvira, giunto insieme a suo fratello ed a un seguito di uomini per saldare una faccenda d'onore. Il consanguineo di Elvira quindi si confida con il libertino, confessandogli che più precisamente devono saldare i conti con la spada con un certo Don Giovanni, il quale ha oltraggiato l'intera famiglia, approfittando dell'innocente Elvira. Don Giovanni, apprendendo che Don Carlos non conosce il volto di questo suo oltraggioso nemico, coglie l'occasione per inscenare un piano per arruffianarsi il consanguineo di Elvira, ed evitare il duello, offrendosi di presentargli lui stesso questo fantomatico Don Giovanni interpretato da uno dei suoi servi, abbigliati come lui, e mandati come capro espiatorio alla morte, proprio come voleva fare precedentemente con Sganarello. Sfortunatamente per Don Giovanni, sopraggiunge Don Alonso, fratello di Don Carlos ed Elvira, il quale, a quanto pare, conosce o comunque è in grado di riconoscere l'oltraggioso libertino che ha lordato l'onore della loro famiglia. Don Alonso dunque si appresta ad adempiere alla sua vendetta, quando viene fermato da Don Carlos, che dopo un lungo e controverso dibattito con il fratello, lo convince a lasciarlo andare, riproponendosi di saldare il loro conto in un secondo momento, dato che se non fosse per lui, quei tre banditi lo avrebbero ucciso. Non appena si allontanano i fratelli di Elvira, Don Giovanni rimprovera Sganarello di non aver tentato di aiutarlo contro i due fratelli. Prima di incamminarsi nuovamente verso casa, Don Giovanni intravede tra gli alberi limitrofi alla strada un superbo edificio che si rivela essere la tomba del medesimo commendatore da lui ucciso sei mesi prima. Quindi, Don Giovanni e il suo servo (quest'ultimo con grande ribrezzo e contrarietà), aprono la tomba ed accedono al mausoleo nel quale trovano la rinomata statua del Commendatore, in abiti da imperatore romano. Dopo aver biasimato l'immotivato lusso del luogo, Don Giovanni, per beffarsi della statua incredibilmente rassomigliante al suo proprietario, ordina al servo, oramai più contrariato che mai, di invitare tale statua a cena, per quella sera. Con grande costernazione e terrore di Sganarello, la statua gli risponde chinando la testa a guisa di consenso. Don Giovanni, incredulo, formula una seconda volta, personalmente, l'invito, che la statua riaccetta nel medesimo modo, suscitando in Don Giovanni la voglia di uscire dal mausoleo.
Atto IV
Una volta usciti dal mausoleo, Sganarello ha un breve dibattito con il padrone, il quale nega la strana realtà dei fatti appena accaduti. Dunque Don Giovanni rincasa, e non appena dà ordine che gli venga servita la cena, si presenta alla porta un commendatore, nonché suo creditore: il signor Domenico, che viene infine ricevuto con grandi cerimonie, scuse per l'attesa, inviti a banchettare insieme, moine ed atteggiamenti ruffiani, che hanno la funzione diversiva di cambiare repentinamente discorso, ogni qual volta il commendatore accenna ai soldi che il libertino gli deve. Don Giovanni riesce dunque a dominare il signor Domenico: creditore che era più che deciso a essere rimborsato proprio quella sera, tanto che aveva aspettato tre quarti d'ora nell'atrio, totalmente incurante delle esortazioni dei servi di Don Giovanni, che volevano convincerlo che il proprio padrone non era in casa. Sganarello, infine, irritato dalle parole del commendatore che gli ricordano di avere anche lui un conto monetario in sospeso, butta fuori di casa il povero e sconcertato Domenico. Subito dopo Violetta annuncia l'arrivo del padre, Don Luigi, giunto sin lì per rimproverare il figlio per la vita sregolata e dannata che conduce. Don Luigi ricorda come abbia a lungo desiderato e pregato il cielo per avere un figlio; figlio che adesso è solamente motivo della sua vergogna e del suo dolore. Don Luigi poi se ne va, deluso dalle parole sarcastiche e denigratorie del figlio. Non appena Don Luigi si congeda, Don Giovanni mostra tutta la sua contrarietà alle parole del padre, augurandogli addirittura di morire presto. Prima di potersi sedere per la cena, Ragotino giunge nella sala, annunciando al padrone libertino che una signora velata desidera parlargli. Tale donna si rivela essere Donna Elvira. Ella, non più carica di ira ed astio nei confronti dell'uomo che l'ha illusa, lo supplica, in nome dei sentimenti che provò per lui in passato, di redimersi dal suo stile di vita scellerato e peccaminoso, salvandosi dall'imminente punizione celeste. Anche Donna Elvira si congeda, annunciando che si ritirerà a vita solitaria, nonostante le incitazioni del suo falso sposo, quasi ammaliato dal suo stato d'animo, a rimanere. La cena viene finalmente servita, ma prima che Don Giovanni e Sganarello possano iniziare a mangiare, vengono interrotti da una terza visita. Don Giovanni si trova infatti a ricevere colui che ironicamente aveva invitato a cena quello stesso pomeriggio, che altri non è che la statua del Commendatore. La statua che va dai vivi rispecchia il rito dei morti e inoltre rappresenta la religione cattolica che punisce il male. Tale ospite inconsueto ed inatteso invita a sua volta Don Giovanni a venire alla sua cena, la sera successiva, chiedendogli se ne avrà il coraggio. Don Giovanni accetta di andarci, portandosi il servo Sganarello, assolutamente contrariato e sgomentato. Come al solito, il libertino accetta la sfida, non tirandosi mai indietro dinnanzi a niente e a nessuno, sicuro di sé e sicuro di essere padrone del suo stesso destino. All'uscita, Don Giovanni si offre di far luce con una fiaccola al suo strano ospite, che però dice di non averne bisogno, perché è guidato dal cielo.
Atto V
L'indomani Don Giovanni, mosso dal proposito di riavvicinarsi al padre, per mettersi al sicuro da svariati spiacevoli incidenti che potrebbero accadere (soprattutto il duello con Don Alonso e Don Carlos), finge una totale redenzione. Credendo a tali parole, il padre, in preda alla più grande felicità, afferma di averlo perdonato di tutte le sue malefatte passate, abbracciandolo amorosamente. Quindi Don Luigi colmo di gioia corre a casa da sua moglie, per darle la buona notizia. La notizia di redenzione suscita commozione e felicità anche a Sganarello, il quale viene subito smentito dalla confessione del padrone, che lo lascia basito. Don Giovanni ammette di lasciarsi andare a tali confidenze solo perché ha piacere ad avere un testimone del fondo della sua anima, e un confidente dei veri motivi che lo costringono a comportarsi così: confessa che la sua finta conversione altro non è che uno stratagemma utile ed una mossa politica. Si giustifica inoltre asserendo che l'ipocrisia è un fattore comune tra le persone, e che molte di queste usano la stessa maschera per ingannare il mondo. Infine conclude il suo monologo, elogiando l'ipocrisia, la quale, secondo lui, offre meravigliosi vantaggi, tra i quali quello di non essere esposti al biasimo collettivo. Successivamente, Don Giovanni si incontra con Don Carlos, al quale cerca di far credere la sua redenzione. Inizialmente Don Carlos è lieto di tali parole, e del fatto che si potrà risolvere la questione in modo pacifico, con il matrimonio tra Donna Elvira e Don Giovanni, in modo da mettere in salvo l'onore della famiglia. Ma quando Don Giovanni gli confessa che anche lui, proprio come Donna Elvira, si ritirerà a vita privata e solitaria in un convento, su consiglio del Cielo, Don Carlos ritorna sui passi del fratello, rinnovando la sfida a duello, che avverrà in un luogo più opportuno di quello. Prima dell'appuntamento con la statua del Commendatore, il libertino ed il servo Sganarello incappano in uno Spettro con le sembianze di una donna velata, che proclama che Don Giovanni ha poco tempo per approfittare della misericordia del Cielo, prima che la sua dannazione sia irrevocabile. Dopodiché lo spettro cambia forma, tramutandosi nel Tempo con la falce in mano. Dinnanzi a ciò, Sganarello rimane completamente terrorizzato, ed esorta ancora una volta il padrone alla redenzione. Don Giovanni invece, dopo aver curiosamente detto di conoscere tale strana voce, sguaina scetticamente la spada, gettandosi sullo spettro, il quale vola via. Don Giovanni dunque riconferma a Sganarello che nessuno riuscirà mai a farlo pentire. Poco dopo, il libertino ed il suo servo incontrano la statua del Commendatore, che gli ricorda l'appuntamento a cena. Don Giovanni dunque gli chiede le indicazioni della sua abitazione, e la statua, come se volesse cortesemente accompagnarlo, gli chiede la mano, che il libertino gli dà. La statua dunque proclama che il perseverare nel peccato comporta una morte funesta, e che chi respinge il cielo apre il cammino alla sua folgore. Detto ciò Don Giovanni inizia a sentirsi ardere da un fuoco invisibile, dunque un grande fulmine, accompagnato da gran fracasso, lo investe, e la terra si spalanca, inghiottendolo tra fiamme fuoriuscenti. La battuta finale dell'opera spetta a Sganarello, che si lamenta della paga che non potrà più ricevere dal momento che il suo padrone è stato appena ucciso.





Così va il mondo


Regia: Sandro Segui
Personaggi e interpreti:
Mirabell: Giuseppe Pambieri
Signora Millamant: Milena Vukotic
Feible: Gianna Giachetti
Witwoud: Alfredo Bianchini
Lady Wishfort: Anita Laurenzi
Signora Fainall: Giuliana Calandra
Signora Marwood: Francesca Benedetti
Sir Wilfull: Camillo Milli
Waitwell: Valentino Macchi
Cocchieri: Agostino De Berti
Cocchieri: Giancarlo Santelli
Fainall: Maurizio Gueii
Mincing: Milena Alberi
Peg: Rosa Maria Fantaguzzi
Petulant: Ezio Busso
Lacchè: Adriano Pomodoro
Servitore: Franco Gamba
Messaggero: Giulio Trevisani

Trama:
Il giovane seduttore Mirabell è innamorato della bella ereditiera Lady Millamant una donna emancipata che accetterebbe di sposarsi solo a ben precise condizioni. La zia della fanciulla l'ormai cinquantenne Lady Wishfort Si oppone però alle velleità matrimoniali di Mirabell nella speranza di far convolare a giuste nozze Millamant con un suo nipote Sir Wilfull Witwood.
A questo scopo la vecchia zia minaccia Lillamant di privarla della metà del suo patrimonio, su cui esercita la tutela, nel caso in cui la ragazza decidesse di unirsi a Mirabell. Per sbarazzarsi di Lady Wishfort, Mirabell predispone allora una trappola amorosa: dapprima induce il suo fido servo Waitwell a sposare Foible, cameriera di Lady Wishfort e successivamente, fatte assumere a Waitwell le mentite spoglie di un suo zio, Sir Rowland, lo invita a corteggiare l'anziana Lady con l'intento di rendere poi nota la relazione amorosa della donna con il servitore e quindi ricattarla per strapparne l'assenso alle proprie nozze. Ma la signora Marwood, che è l'amante di Fainal, genero di Lady Wishfort, ascoltando casualmente una conversazione, scopri l'intrigo e si ripromette di svelare tutta la macchinazione per vendicarsi così di Mirabelle, del quale è a sua volta innamorata e da cui è stata respinta.
Consigliatasì infatti con l'amante la signora Marwood scrive una lettera anonima a Lady Wishfort nella quale rivela che se Rowland è un impostore.
Così dopo un'incredibile serie di colpi di scena, Lady Wishfort muta atteggiamento nei riguardi di Mirabell e Millamant e, perdonati entrambi, concede infine il proprio consenso al matrimonio.





Come le foglie


Personaggi e interpreti
Gaspare: Valli, Tullio
La sig.ra Irene: Zopegni, Karola
Nennelle: Ghione, Ileana
Giulia: Villi, Olga
Tommy: Ferrari, Paolo
Andrea:
Lucia: Ridolfi, Sara
Helmer Strile: Bonora, Giorgio
La sig.ra Lauri: Bovo, Mariolina
La sig.ra Lablanche: Savelli, Loredana
Il pittore: Manfrino, Giorgio
Marta:Ferrari, Ada
Un facchino: Stiepa, Gianni
Il Groom: Domenici, Cesare
Giovanni Rosani: Carraro, Tino

Trama:
Atto primo
Appartamento di Rosani che si capisce che sta per essere abbandonato.
Giovanni Rosani ha subìto un tracollo economico. Costretto a vendere la casa e tutti i suoi averi per ripianare i debiti, viene aiutato solo dal ricco nipote Massimo che gli trova un lavoro, anche se poco remunerato, e una casa in Svizzera.
Si fanno gli ultimi preparativi per la partenza, mentre Tommy e Nennele, i figli di Giovanni, provano a immaginare la loro vita in Svizzera. La sarta Lablanche, ultima dei molti creditori, viene a reclamare la sua parte; Giulia, la seconda e attuale moglie di Giovanni, riesce a contrattare ma non a nascondere al coniuge, irritato, l'entità del debito.
Arriva Massimo per la partenza. Giovanni si lamenta con lui di Giulia, frivola e spendacciona, che avrebbe voluto ingannare i creditori e fuggire senza pagarli, e della leggerezza di Tommy, assiduo frequentatore di bische e amante della vita facile.
Poi tutti partono. Rimane, singhiozzante, solo Lucia, vecchia cameriera affezionata alla famiglia che Giovanni non ha assolutamente potuto condurre con sé.
Atto secondo
Tre mesi dopo, nella nuova casa in Svizzera, con un giardino da cui si ammira il Monte Bianco.
La temuta miseria non è venuta, ma non c'è più la ricchezza di prima e Giovanni deve lavorare duramente. Nennele cerca di guadagnare qualcosa dando lezioni di inglese. Giulia, appassionata di pittura, lavora spesso con il pittore Helmer Strile, che dice di avere fiducia nelle sue capacità, e spera di riuscire a vendere i suoi quadri; per questo sostiene spese per entrare al Circolo degli Artisti.
Tommy continua la sua vita dissoluta. Ha rinunciato dopo pochi giorni al lavoro di ispettore in uno scavo ferroviario offertogli da Massimo, non ritenendolo adatto al suo stile di vita, è sempre dedito al gioco e frequenta la casa della Orloff, una ricca dama di origini russe e dalla reputazione equivoca. Dopo un'accesa discussione con Massimo, Tommy dice che accetterà il nuovo lavoro che il cugino gli ha trovato, come segretario del proprietario di un'avviata segheria.
Atto terzo
Giovanni ha affidato a Nennele il governo della casa, e Nennele cerca di limitare le spese controllando Giulia, di cui sospetta una tresca col pittore Helmer, in modo assillante. Giulia non è riuscita a vendere neppure un quadro, ma Helmer finge di avere trovato un acquirente. Giulia gli offre un ritratto dipinto da lei e incorniciato in una cornice d'argento rubata a Nennele, che se ne accorge e accusa la matrigna della sparizione.
Rientra Tommy, di cui Nennele cerca l'appoggio, ma il ragazzo sembra avere un'intesa con Giulia e nega di sapere qualcosa della cornice. Poi giunge un telegramma da cui Massimo apprende che Tommy si è presentato al lavoro in segheria solo un giorno. Rimasto solo con Nennele, Tommy le confessa che ha ripreso a giocare, ha contratto un forte debito con la Orloff e per sdebitarsi ha accettato di sposarla.
Nennele ripensa ai sacrifici fatti dal padre ed è presa da tristi pensieri. Massimo, in cui Tommy aveva da tempo indovinato una simpatia particolare per la sorella, le consiglia di «non ribellarsi contro le foglie che il vento disperde» e che «svolazzano di viltà in viltà»; poi le offre di sposarla, ma Nennele sconsolata rifiuta.
Atto quarto
Nennele ha deciso di uccidersi ed ha anche scritto una lettera d'addio per il padre. Prima di mettere in atto il suo proposito, cercando di non farsi notare, passa, per vedere il padre un'ultima volta, nella camera di Giovanni, che lavora anche di notte per racimolare poco denaro in più. Giovanni però la vede, ne intuisce le intenzioni e dolcemente la dissuade.
Giovanni e Nennele vedono poi una figura aggirarsi nel giardino. Nennele, con gioia, capisce che si tratta di Massimo: anch'egli aveva intuito che Nennele pensava di farla finita e, fingendo di scendere per una passeggiata, era andato nel giardino per vegliare su di lei.





Quaranta... ma non li dimostra


E' una commedia in due parti di Peppino e Titina De Filippo. Non è la vicenda di una donna che, come si usa oggi, si è "rifatta" la faccia dal chirurgo plastico. Questa divertente ed appassionata commedia andò in scena per la prima volta nel 1933 al Teatro Sannazaro di Napoli interpretata da Eduardo, Peppino e Titina De Filippo. Fu subito un grandissimo successo che contribuì in modo determinante all'affermazione del talento dei fratelli De Filippo sul piano nazionale. Commedia divertente poiché tratta con garbata ironia dell'impegno del protagonista, don Pasquale, vedovo e padre di cinque figlie, a trovare un marito alla sue figliole ed in particolare alla più grande di esse, Sesella, ormai quarantenne. Commedia "appassionata" poiché è proprio il racconto della "passione" che Sesella ha verso le sorelle, l'amore rispettoso verso il padre, verso la casa, la famiglia, il ricordo della madre perduta, che esalta questo personaggio di "zitella", angelo della casa, e ne fa la preferita del padre tanto ansioso di trovarle finalmente un marito. È la storia di una donna importante. Importante per il bene che riesce a dare a chi le sta vicino, anche sacrificando se stessa. Per la versione trasmessa dalla RAi nel 1963, Peppino De Filippo curò la direzione artistica mentre la regia fu di Romolo Siena. La canzone: "Napule, Napule, Nà!" di Peppino De Filippo è cantata da Sergio Bruni.

Personaggi e interpreti:
Sesella: Lidia Martora
Un garzone: Gigi Reder
Don Pasquale: Peppino De Filippo
Giulia: Grazia Maria Spina
Carmela: Rossella Como
Maria: Wilma Morgante
Antonietta: Paola Quattrini
Luciano Giacomelli: Gianni Agus
Bebè: Luigi De Filippo
Alberto: Pino Ferrara
Donna Giacinta: Dolores Palumbo
Don Matteo: Pietro Carloni
La signora Amalia: Armida De Pasquale

Trama:
Don Pasquale Di Domenico ha cinque figlie femmine, tutte in età da marito o... quasi, perché Sesella, la primogenita, l'ha passata da un pezzo e, anzi, fin da quando è morta la madre, ha finito per fare lei da mamma a tutti. Ora però che la sorella Carmela sta per sposarsi, la sua amara sorte di cenerentola della casa è diventata un vero e proprio cruccio per il padre. Possibile che non ci sia nessuno in giro disposto a offrirle un'altra vita? E se l'uomo giusto fosse quel giornalista che fa salotto tra le sorelle? L'ipotesi matrimoniale cambia Sesella da così a così: tacchi, rossetto e sigaretta rubano il posto a pantofole e vestaglietta. Don Pasquale prepara il fatidico annuncio. Sarà una "luminosa" a spegnere il suo entusiasmo, accendendo però la straordinaria carica umana di don Peppino.





Napoli milionaria


Regia: Eduardo De Filippo

Personaggi e interpreti
(in ordine di entrata)
Maria Rosaria: Elena Tilena
Amedeo: Carlo Lima
Gennaro Iovine: Eduardo De Filippo
Amalia: Regina Bianchi
Donna Peppenella: Evole Gargano
Adelaide Schiano: Nina Da Padova
Federico: Antonio Allocca
Enrico Settebelizze: Antonio Casagrande
Peppe 'o cricco: Ettore Carloni
Riccardo Spasiano: Lello Grotta
Il brigadiere Ciappa: Pietro Carloni
Assunta: Angela Pagano
Teresa: Maria Hilde Renzi
Margherita: Marina Modigliano
Il dottore: Antonio Petito
Pascalino 'o pittore: Filippo De Pasquale
Un signore attenpato: Antonio Ercolano
O mieze prevete: Ugo D'Alessio

Regista collaboratore: Stefano De Stefani
Scene: Emilio Voglino

Trama:
Il sipario ancora una volta, come accade in molte commedie di Eduardo, si apre su un palcoscenico quasi completamente al buio. È la vita della commedia umana che sta nascendo dal buio.
Siamo nel 1942, in un tipico basso napoletano si aggira ciabattando Maria Rosaria, la figlia di Gennaro Iovine, con un'enorme caffettiera napoletana.
Dopo poco compare il figlio Amedeo, stravolto dal sonno non del tutto soddisfatto, che chiede se il padre stia ancora dormendo. Gennaro è sveglio da tempo: prima per il bombardamento notturno, e ora per le grida di un litigio che si sta svolgendo fuori in strada dove si distingue la voce alterata di sua moglie Amalia che sta animatamente discutendo con una concorrente del rione per la vendita abusiva di caffè. Amalia infatti, si arrangia con la borsa nera e con la mescita casalinga del caffè a cui i napoletani non rinunciano neppure in questo secondo anno della guerra. Gennaro si rassegna ad alzarsi e mentre si sta radendo arrivano i primi avventori, tra cui il ragioniere Spasiano venuto per comprare, a caro prezzo, qualche alimento per la sua famiglia da Amalia, che lo sta praticamente dissanguando delle poche proprietà che ancora gli rimangono. Gennaro non è d'accordo con i traffici della moglie, ma capisce anche che senza quella vendita illegale la famiglia farebbe la fame; perciò, avvertito dell'imminente arrivo del brigadiere Ciappa, venuto per arrestarlo, si rassegna a fare la parte del morto, steso immobile e rigido sul letto sotto al quale è nascosta una notevole quantità di cibarie. I familiari, che hanno allestito una veglia funebre con tanto di monache salmodianti in latino maccheronico, e che nascondono pantaloni sotto la veste, tra pianti strazianti implorano il brigadiere di rispettare il morto e il loro dolore. Il brigadiere, che ha capito il trucco, insiste perché Gennaro la finisca con quella farsa, tanto più che sta avvenendo in quel momento un nuovo bombardamento che ha causato una fuga generale degli addolorati presenti. Il brigadiere tuttavia rispetta ammirato il coraggio del finto morto, che non muove un ciglio tra le esplosioni e le rovine delle case colpite dalle bombe, e gli promette che non lo arresterà. Il morto a quel punto risorge.
È passato del tempo: Napoli è stata liberata dagli Alleati. Il basso è stato rinnovato e ristrutturato. Amalia, vestita a festa e carica di gioielli ha fatto fortuna associandosi - ormai la guerra al sud è finita - in commerci poco puliti con Settebellizze (un autista e proprietario di autocarro) di cui quel giorno si festeggerà il compleanno e che nell'occasione propone alla donna di unire i loro sentimenti d'amore agli affari. Ma Amalia, anche se a malincuore, rifiuta perché è convinta che Gennaro, pur scomparso da diversi mesi, alla fine tornerà a casa.
La guerra ha lasciato le sue rovine e la famiglia Iovine si sta disgregando: la figlia Maria Rosaria, non più sorvegliata e guidata dalla madre, è rimasta incinta di un soldato statunitense che l'ha lasciata ed è tornato al suo paese; Amedeo ruba pneumatici delle auto insieme a Peppe 'o Cricco, specializzato appunto ad alzare le auto con la spalla per sfilare le ruote.
Questa è la famiglia che ritrova Gennaro tornato inaspettatamente quel giorno di festa. Vorrebbe sfogarsi, raccontare le sue sofferenze e peripezie ma nessuno sta ad ascoltarlo, tutti vogliono festeggiare Settebellizze e non pensare più alle pene della guerra ormai finita. Gennaro lascia amareggiato la compagnia e preferisce stare vicino alla figlia più piccola, ammalata.
«La guerra è finita» ripetono tutti, Gennaro invece è convinto che ora si stia combattendo un'altra guerra: quella della povera gente che ha perso, per le sciagure attraversate, tutti i valori e l'onestà della vita precedente e che ora deve recuperare. Questo dice Gennaro al commissario Ciappa venuto ad avvertirlo che arresterà il figlio se lo sorprenderà quella stessa sera a rubare nuovamente. Gennaro, rassegnato, lo invita a fare il suo dovere. Ma una disgrazia più grande sta per abbattersi sulla famiglia: la piccola, ammalata, morirà se non si troverà una medicina che sembra essere introvabile in tutta Napoli. Tutti si sono mobilitati alla sua ricerca, ma non c'è niente da fare e Amalia, disperata, sospetta che la tengano nascosta per farne alzare il prezzo: anche lei ha fatto così per la vendita delle sigarette, ma qui si tratta di una vita umana. La medicina la porterà il ragioniere Spasiano, ormai ridotto sul lastrico dalla stessa Amalia, che l'ha dovuta usare per i suoi figli: la darà ad Amalia senza pretendere niente in cambio ma facendole notare che, quando si trattava di non far morire di fame i suoi figli, Amalia non era stata altrettanto generosa, non pensando che «Chi prima, chi dopo, ognuno deve bussare alla porta dell'altro».
La bambina si salverà se supererà la nottata. Intanto Amedeo, rinsavito, non è andato a rubare e tornerà a lavorare onestamente mentre Maria Rosaria resterà in famiglia con il suo bambino. Anche Amalia ha capito di avere sbagliato a farsi prender dalla brama del denaro ed ora piange sui suoi errori confortata dal marito: «Mo avimm'aspetta', Ama... S'ha da aspetta'. Comme ha ditto o' dottore? Deve passare la nottata.»

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