I vitelloni

7,9

1953

Regia: F.Fellini

Genere: Commedia

Genere: Drammatico

CAST

Franco Fabrizi

Franco Interlenghi

Eleonora Ruffo

Alberto Sordi

Leopoldo Trieste

Riccardo Fellini

Silvio Bagolini

Guido Martufi

Alberto Anselmi

Lida Baarova

Giovanna Galli

Claude Farell

Milvia Chianelli

Jean Brochard

Paola Borboni

Franca Gandolfi

Gigetta Morano

Enrico Viarisio

Gondrano Trucchi

Vira Silenti

Arlette Sauvage

Carlo Romano

Maja Nipora

Achille Majeroni

Ottavia Piccolo

Lino Toffolo

Rosalba Neri

Massimo Bonini

Gustavo De Nardo

Graziella De Roc



I VITELLONI
Anno 1953
Altri titoli LES VITELLONI
SPIVS. THE YOUNG AND THE PASSIONATE
Durata 115
Origine FRANCIA, ITALIA
Colore B/N
Genere COMMEDIA
Tratto da UN'IDEA DI TULLIO PINELLI
Produzione LORENZO PEGORARO PER LA PEG FILM (ROMA), CETE' FILM (PARIGI)
Distribuzione ENIC - DOMOVIDEO, MONDADORI VIDEO, DE AGOSTINI, MULTIGRAM, L'UNITA' VIDEO.
Regia
Federico Fellini
Attori
Franco Fabrizi Fausto
Franco Interlenghi Moraldo
Eleonora Ruffo Sandra
Alberto Sordi Alberto
Leopoldo Trieste Leopoldo
Riccardo Fellini Riccardo
Silvio Bagolini L'Idiota
Guido Martufi Piccolo Ferroviere Romagnolo
Alberto Anselmi
Lida Baarova Giulia
Giovanna Galli Una Ballerina
Claude Farell Sorella Di Alberto
Gustavo De Nardo
Milvia Chianelli
Jean Brochard Padre Di Fausto
Paola Borboni Mamma Di Sandra E Morando
Franca Gandolfi Altra Ballerina
Graziella De Roc
Gigetta Morano Madre Di Alberto
Enrico Viarisio Papa' Di Sandra E Morando
Gondrano Trucchi
Vira Silenti La "Cinesina"
Arlette Sauvage Sconosciuta Al Cinema
Carlo Romano Antiquario Michele
Maja Nipora La Soubrette
Achille Majeroni Il Capocomico Omosessuale
Ottavia Piccolo
Lino Toffolo
Rosalba Neri
Massimo Bonini
Soggetto
Federico Fellini
Ennio Flaiano
Tullio Pinelli
Sceneggiatura
Ennio Flaiano
Federico Fellini
Tullio Pinelli
Fotografia
Carlo Carlini
Otello Martelli
Luciano Trasatti
Musiche
Nino Rota
Montaggio
Rolando Benedetti
Scenografia
Mario Chiari
Trama "Vitelloni" vengono chiamati, nelle città di provincia, quei giovani di buona famiglia che passano la loro giornata nell'ozio, tra il caffé, il biliardo, la passeggiata, gli inutili amori, i progetti vani. Tali sono, nella loro piccola città, cinque amici: Fausto, Moraldo, Alberto, Leopoldo, Riccardo. Fausto amoreggia con Sandra, la sorella di Moraldo. Accade che la loro relazione non sia priva di conseguenze: Sandra aspetta un bambino e, per volere del padre, Fausto deve fare il suo dovere, sposando la ragazza. Ma né il matrimonio, né la paternità hanno la virtù di renderlo più serio. Fausto è sempre lo stesso "vitellone", amante dell'ozio, delle avventure, dei passatempi. Tradisce la moglie, amoreggiando anche con la moglie del principale, il che gli fa perdere l'impieguccio che il suocero gli aveva trovato. Dopo avergli ripetutamente perdonato i suoi tradimenti, Sandra un bel giorno perde la pazienza e scappa di casa col bambino. E' un duro colpo per Fausto, il quale comprende finalmente tutto il male che ha fatto a sua moglie: la cerca disperatamente, la trova, si riconcilia con lei, mentre suo padre completa, a suon di bastonate, la lezione. Gli altri vitelloni continuano a trascinare la loro inutile esistenza; ma uno di loro, Moraldo, un bel giorno parte, insalutato ospite. Egli ha trovato forse la sua strada.
Note MUSICHE DIRETTE DA: FRANCO FERRARA. - COSTUMI: MARGHERITA MARINARI BOMARZI. LEONE D'ARGENTO ALLA MOSTRA DI VENEZIA 1953 EX-AEQUO INSIEME A "TERESA RAQUIN", "MOULIN ROUGE", "IL PICCOLO FUGGITIVO", "I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO" E "SADKO".
NASTRO D'ARGENTO PER IL MIGLIOR FILM E IL MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA (ALBERTO SORDI).
Critica "Fellini, come al solito, si colloca decisamente al centro dei sentimenti, e perciò dei personaggi; (...) egli esprime il sentimento del vegetare, dell'inerzia, del rischioso e sonnolento svanire della gioventù". (Brunello Rondi, "Cinema e realtà", 1957).
"Forse Fellini non ha saputo o voluto domandarsi se i vitelloni cresciuti negli anni del dopoguerra non fossero i figli di altri vitelloni, anche più malinconici e interiormente fragili, se l'inconcludenza di una certa parte delle generazioni maturate in quel periodo non provenisse dall'aridità e povertà del terreno sul quale queste generazioni erano cresciute. E' una domanda alla quale, a quei tempi, si era risposto ormai fin troppo esaurientemente, e forse in maniera altrettanto generica, rovesciando abbondantemente le colpe dei figli sulle spalle dei padri, spalle colpevoli di tutto, e da qualsiasi punto di vista ci si fosse messi per giudicare: colpevoli di conformismo o di vuoto attivismo dannunziano, di ingenuo e bambinesco fascismo, come di scialbo e sterile antifascismo." (Carlo Lizzani, "Il cinema italiano 1895-1979" Editori Riuniti, 1980).
"Mi pare che Fellini rappresenti, assieme a Lattuada, Germi, Emmer, l'ala piccolo-borghese della nostra scuola cinematografica realistica e democratica: la storia, la vita attraggono lui pure dalla parte della
realtà; d'altro canto è, anche lui, ancor legato ai pregiudizi dell'"imparzialità", delle idealistiche teorie dell'arte che se ne sta "al di sopra della mischia". Nei Vitelloni una precisa determinazione critica, sia in senso storico che in senso sociale, manca. Vi è sincera inquietudine, lirica effusione, moralismo sentimentale, e qualche intuizione di un mondo nuovo, diverso. Ma non vi è organica compiutezza, non consequenzialità, tutto tende a fermarsi a metà strada, e si contraddice. Accanto a bellissimi
squarci realistici, ecco momenti laterali, secondari, irrilevanti, vere e proprie dispersioni naturalistiche. Ma in un periodo in cui il realismo critico procede frammezzo a tante difficoltà, la cosa non può sorprendere." (Glauco Viazzi, "Il calendario del Popolo", ottobre 1953).
" I Vitelloni (1953), direttamente autobiografico, è una galleria di giovani disoccupati, irresponsabili e velleitari figli di mamma (e il termine entrò nella lingua italiana), tra i quali campeggia il personaggio di Sordi (Alberto), punto di fusione di violenza satirica, grottesco e patetismo. Il film si chiude con la partenza all'alba di Moraldo, il meno intorpidito del gruppo, salutato alla stazione da Guido, il piccolo aiuto ferroviere, simbolo di un mondo dove la fatica quotidiana è la regola. Dove va Moraldo? La risposta doveva venire da un film di cui Fellini scrisse la sceneggiatura con Flaiano e Pinelli ma che non realizzò mai: Moraldo in città, dove la città è Roma, la capitale. Il ragazzo che all'inizio di Roma - dopo le vignette provinciali d'approccio - sbarca a Stazione Termini è una reincarnazione di quel Moraldo Federico." (Morando Morandini, in "Storia del cinema" a cura di Adelio Ferrero, Marsilio, 1978).
"Il film, sia o no per raffinati, piaccia o no alle platee, risulti o no spiacevole qualche inutile grossolanità (l'episodio dell'attore vizioso e anormale), è tra i migliori dell'ultima produzione italiana." (Arturo Lanocita, "Corriere della sera", 28 agosto 1953).
"Un film che ha la sua importanza. Anzitutto perché ha parecchie pagine molto intelligenti; poi perché va alla scoperta di un suo saporito mondo provinciale, e infine perché è il secondo film di un giovane che qui compiutamente si afferma." (Mario Grasso, "La Stampa", 9 ottobre 1953).
"Con questo film Fellini inventò (o rese familiare, il che è poi lo stesso) un neologismo destinato a vivere ancor oggi, ad entrare nel lessico corrente. Impose nuovamente Sordi, che il noleggio allora non voleva assolutamente (lo stesso Fellini ricorda che, quando finalmente riuscì a trovare una distribuzione, nei primi manifesti e nelle prime copie gli si impose di non menzionare il nome: "fa scappare la gente - dicevano - è antipatico, il pubblico non lo sopporta"). Soprattutto si fece finalmente riconoscere per quel che era ed è: un grande narratore crepuscolare nelle vesti di un descrittore ironico." (Claudio G. Fava, "I film di Federico Fellini", Firenze, 1981).
"Nei Vitelloni, prima rimpatriata a Rimini, in una realtà placentare perfettamente conosciuta, la struttura
narrativa subisce una scomposizione importante: la singola storia è frantumata in cinque vicende dallo
sviluppo contemporaneo. Ognuno dei cinque amici insegue desideri diversi e si ritrova allo stesso punto di partenza, agli stessi discorsi, agli stessi incontri, agli stessi sogni frustrati.Per una sorta di pudore stilistico l'autore cerca di mantenere un atteggiamento di equidistanza nei confronti dei personaggi e solo la voce dell'io narrante ne segnala il coinvolgimento affettivo." (Gian Piero Brunetta, "Cent'anni di cinema italiano", Laterza, 1991).
Fellini, si sa, attua un "cinema della memoria", nel quale cala con straordinario nitore sedimenti di un
autobiografismo immediato e pressante. Egli non è mai al di fuori della mischia, non giudica né condanna mai, ma in certo senso solidarizza sempre con i suoi personaggi, nei quali è sempre proiettata una parte della propria esperienza umana. Così è per I Vitelloni: non è difficile riconoscere
quanto di Fellini vi sia nella fatuità di Fausto, nel velleitarismo di Poldo, nell'infantilismo di Alberto. Ma Fellini è anche, e soprattutto, Moraldo, lo storico e il giudice del gruppo.Nel finale del film Moraldo parte; col suo valigino di fibra e pochi soldi in tasca prende un treno qualsiasi, che lo strappi a quel limbo di inutilità e lo faccia approdare in un luogo dove la vita, e il lavoro, abbiano un senso. Non
sa egli stesso dove andrà e cosa farà. Ma a noi non è difficile immaginarlo: avrà varie esperienze, e finirà per fare del cinema, e per dirigere un film intitolato I vitelloni...(Guido Cincotti, "Radiocorriere
TV", maggio 1962).