I cento passi

7,4

2000

Regia: M.T.Giordana

Genere: Drammatico

CAST

Paolo Briguglia

Ninni Bruschetta

Lucia Sardo

Tony Sperandeo

Andrea Tidona

Pippo Montalbano

Paola Pace

Claudio Gioè

Domenico Centamore

Gaspare Cucinella

Francesco Giuffrida

Roberto Zibetti

Mimmo Mignemi

Fabio Camilli

Luigi Maria Burruano

Luigi Lo Cascio



I CENTO PASSI
Anno 2000
Altri titoli THE HUNDRED STEPS
Durata 114
Origine ITALIA
Colore C
Genere DRAMMATICO
Specifiche tecniche 35 MM
Produzione TITTI FILM - RAI CINEMA SPA, TELE+, MEDIA
Distribuzione ISTITUTO LUCE (2000) - VIDEO E DVD: MEDUSA
Regia
Marco Tullio Giordana
Attori
Paolo Briguglia Giovanni Impastato
Ninni Bruschetta Cugino Anthony
Luigi Maria Burruano Luigi Impastato
Luigi Lo Cascio Peppino Impastato
Lucia Sardo Felicia Impastato
Tony Sperandeo Gaetano Badalamenti
Andrea Tidona Stefano Venuti
Pippo Montalbano Cesare Manzella
Paola Pace Cosima
Claudio Gioè Salvo Vitale
Domenico Centamore Vito
Gaspare Cucinella Zio Gasparo
Francesco Giuffrida Mauro
Roberto Zibetti Carlo
Mimmo Mignemi Maresciallo Cc
Fabio Camilli Maggiore Cc
Soggetto
Claudio Fava
Monica Zappelli
Sceneggiatura
Claudio Fava
Monica Zapelli
Marco Tullio Giordana
Fotografia
Roberto Forza
Montaggio
Roberto Missiroli
Scenografia
Franco Ceraolo
Costumi
Elisabetta Montaldo
Trama A Cinisi, paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare, nei pressi dell'aeroporto, utile quindi per il traffico di droga, cento passi separano la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti, il boss locale. Peppino, bambino curioso che non gradiva il silenzio opposto alle sue domande, al suo sforzo di capire, nel 1968 si ribella come tanti giovani al padre. Ma in Sicilia la ribellione diventa sfida allo statuto della mafia. Quando si batte insieme ai contadini che si oppongono all'esproprio delle loro terre per ampliare l'areoporto Peppino conosce le prime sconfitte ma scopre l'orgoglio di una vocazione. Dopo varie esperienze fonda "Radio aut" che infrange il tabù dell'omertà e con l'arma del ridicolo distrugge il clima riverenziale attorno alla mafia.Tano Badalamenti diventa Tano Seduto e Cinisi è Mafiopoli. Il clima per lui si fa pesante: il padre cerca di farlo tacere, madre e fratrello sono solidali con lui. Quando arriva il Settantasette, mentre c'è chi si rifugia nel privato, lui si presenta alle elezioni comunali. Due giorni prima del voto lo fanno saltare in aria sui binari della ferrovia con sei chili di tritolo. La morte coincide con il ritrovamento a Roma del corpo di Aldo Moro, viene rubricata come "incidente sul lavoro" poi, dopo che gli amici mettono a disposizione degli inquirenti molti indizi dell'esecuzione diventa addirittura "suicidio". Solo vent'anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell'assassinio. Il processo deve ancora essere celebrato.
TRAMA LUNGA
Cinisi, paesino siciliano tra mare e roccia, a pochi passi dall'aeroporto di Punta Raisi, fondamentale per il traffico della droga. Qui il piccolo Peppino viene introdotto nella 'onorata società' dal padre Luigi che aspira per lui al destino di un capo. Ma qualcosa di quel mondo, a cominciare dal silenzio opposto ad ogni domanda, non convince il bambino. I cento passi che separano la casa di Peppino da quella di Tano Badalamenti, il boss che regna su Cinisi, Peppino non li vuole fare. Il ragazzo diventa adolescente intorno al '68, quando in tutto il mondo i figli si ribellano alle certezze dei padri. La rivolta di Peppino diventa sfida alle regole imposte dalla mafia, al fianco dei contadini che si battono contro l'esproprio delle loro terre per ampliare un aeroporto mal sicuro. Avvicinatosi al Partito Comunista, Peppino dopo un po' verifica che c'è nei dirigenti troppa cautela, troppa burocratica disciplina. Allora insieme ad altri Peppino fonda un giornale, che fa opera di denuncia senza mezze misure. Pur ripudiato dal padre, Peppino dà vita a nuove iniziative: il circolo "Musica e cultura", le mostre fotografiche in piazza per denunciare malaffare e speculazioni, e infine 'Radio Aut', una emittente che diventa famosa in tutta la Sicilia. Pur avvisato e minacciato, Peppino cerca forme di impegno sempre più incisive. Nel 1978, in vista delle elezioni comunali, decide di candidarsi nelle liste di Democrazia Proletaria. Due giorni prima del voto salta in aria sui binari della ferrovia. La morte viene rubricata come 'incidente sul lavoro'.
Note - MENZIONE SPECIALE AL PREMIO SOLINAS 1998 PER LA SCENEGGIATURA A CLAUDIO FAVA E MONICA ZAPPELLI
- PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA ALLA 57 MOSTRA DI VENEZIA (2000).
- DAVID 2001 PER MIGLIORE SCENEGGIATURA (CLAUDIO FAVA, MONICA ZAPELLI, MARCO TULLIO GIORDANA), A LUIGI LO CASCIO (MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA), A TONY SPERANDEO (MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA), A ELISABETTA MONTALDO (MIGLIORI COSTUMI) E PREMIO DAVID SCUOLA.
Critica Dalle note di regia: "Questo non è un film sulla mafia, non appartiene al genere. E' piuttosto un film sull'energia, sulla voglia di costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato guardare il cielo e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. E' un film sul conflitto familiare, sull'amore e la disillusione, sulla vergogna di appartenere a uno stesso sangue. E' un film su ciò che di buono i ragazzi del'68 sono riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista (ma questo non riguarda solo i siciliani) molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza.
Uno, due, tre, quattro ....novantotto, novantanove, cento. Cento passi, nel viale principale di Cinisi, da una casa all'altra. Da quella degli Impastato a quella dei Badalamenti. Nomi che evocano storie particolari, nomi della storia d'Italia. Storia nostra. Cinisi - Sicilia - una trentina di chilometri da Palermo: tra mare e monti, un aereo che atterra e una Giulietta che esplode con l'ennesima vittima, tutto sembra scorrere nell'assoluta normalità. Il bar all'angolo, un matrimonio, la scuola e una pizza. Ma Marco Tullio Giordana, che di storia del Sud e d'Italia se ne intende (Pasolini, un delitto italiano), ci fa capire che quella di Cinisi non è una vita normale in un paese normale. Anni di piombo, di menzogne e di paure. Gli anni Settanta, sconquassati dagli sconvolgimenti del '68; gli appelli di Paolo VI e il rapimento Moro; certezze che crollano, ed altre, ugualmente effimere, che nascono. Ma non a Cinisi. Lì ci sono le "famiglie", i sepolcri sono davvero imbiancati, le regole della vita e della morte, del lavoro e della famiglia, sono diverse e governano l'esistenza, che pare immobile. Tutto deve sembrare buono, giusto, onorevole. Nemmeno un aeroporto pericoloso come quello di Punta Raisi, costruito per logiche certamente non attinenti allo sviluppo, alla sicurezza e al buon senso, scuote un paese, questo paese. Mentre, negli animi più sensibili e intelligenti, svegli e irruenti, suona, prima per curiosità poi per impegno, l'allarme della rivolta e della riscossa civile. Anche se può costare caro. E' il lato più inquietante, diretto, vero, che questo primo film italiano in concorso riesce a cogliere grazie all'occhio attento, anche se scolastico, di Giordana. Sono gli occhi del suo protagonista - li vediamo, quegli occhi, scrutare le esequie dello zio Cesare con l'arguzia innocente dell'infanzia - Peppino Impastato, che salta in brandelli sui binari della ferrovia e la cui storia è ancora parte in brandelli, con una giustizia - è il caso di dirlo? - ancora barcollante. L'impegno civile di Giordana (co-sceneggiatore insieme a Claudio Fava e Monica Zappelli) è encomiabile, anche se non credo sia imprudente parlare di provincialismo delle nostre storie e del nostro cinema. Talvolta diventa un valore, talaltra una trappola. Gli anni dell'elettrica e contagiosa scossa civile che accompagna l'eroica resistenza morale di Peppino nell'ambiente scivoloso di Cinisi (e solo di Cinisi: il giovane contesta l'espatrio, condanna l'immobilismo accentratore dell'allora Partito Comunista, non si fa prendere dalle mode fricchettone e voyeuristiche dei suoi contemporanei figli dei fiori), senza accettare alcun tipo di tattica prudente (gli ideali non hanno confini, corrono senza prudenza), trovano la loro parte migliore nell'indagine dei rapporti intra-familiari. Perché tra gli Impastato - padre, madre, due figli maschi: rispettivamente Luigi Maria Burruano, Lucia Sardo, Luigi Lo Cascio e Paolo Briguglia - parole, sguardi, silenzi, affetti e violenze scorrono o esplodono con forte intensità e debito realismo. E' vero: I cento passi non è un film sulla mafia anche se parla quasi esclusivamente di mafia. E' vero: è un film sugli ideali del '68, che, diciamolo, ormai appartengono alla storia, e qui se ne fa l'ennesima indagine. E' vero: è un film sui rapporti tra persone quando sono volenti o nolenti sottoposti all'imposizione di patologie sociali e culturali come quelle che hanno incancrenito un'isola, una regione, in parte una nazione. Come recitano questi paesani? Forse da noi il dialetto funziona meglio della lingua: cogliere persone del luogo e portarle a recitare "in casa" e storie "di casa" evita le sacche del realismo ma protegge in qualche modo dalla retorica. Non, purtroppo, dal didascalismo. Che si insinua, spesso. "(Luca Pellegrini, Rivista del Cinematografo on line, 31 agosto 2000).
"Si capisce che il film sia stato accolto con lunghi applausi dalla stampa. Ma Giordana, che cita 'Le mani sulla città' di Rosi e abbonda in canzoni d'epoca, evita ogni retorica concentrandosi giustamente sulla dimensione famigliare. Il padre che non capisce, non può capire, la ribellione del figlio che vola in America per cercare una via d'uscita; la madre che lo difende in segreto; gli 'zii' mafiosi che da bambino lo tenevano sulle ginocchia e oggi lo blandiscono e minacciano insieme. Per un'assurda coincidenza, alla sua morte Impastato non fece notizia. Chissà che questo film non entri nella leggenda". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 1 settembre 2000)
"Molto impegno civile. Come, del resto, in altri film di Giordana. Il testo, forse, per dire molto, e per dirlo con forza, dice troppo, nel senso che, per descrivere i Sessanta ed i Settanta nell'ottica sociale e politica di quel remoto paesino siciliano, fa ricorso ad eccessive vicende di contorno e a vari personaggi di secondo piano. Quando però si tratta di seguire da vicino il personaggio centrale, i suoi rapporti in famiglia e i suoi scontri con i mafiosi, allora il racconto si fa teso, scattante, addirittura aggressivo e la regia nervosa di Giordana ha modo di vibrare e di far vibrare di giusta indignazione". (Gian Luigi Rondi, 'Il tempo', 1 settembre 2000)
"Marco Tullio Giordana, in quello che è il suo film migliore, più forte, più diretto, ibrida con successo il cinema di impegno civile (viene citato 'Le mani sulla città') con umori più personali e generazionali, intreccia la denuncia e il ritratto toccante e autentico di un angelo ribelle. E se la sceneggiatura è scritta con inconsueta precisione, schivando retorica e colore, gran parte della riuscita del film la si deve a una squadra di attori di sorprendente bravura guidati senza sbavature da Giordana (...) Da vedere anche per chi non è sensibile all'effetto nostalgia". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 1 settembre 2000).